IL SOGNO DI OLIVETTI NON ERA MERA UTOPIA

Ce ne parla il nipote Beniamino de’ Liguori Carino, con una testimonianza inedita di Franco Ferrarotti

ALESSANDRA FERRARO, 22.06.2018

IVREA – “Adriano Olivetti è stato l’unico imprenditore del ‘900 che è riuscito a coniugare pensiero e azione“: ne è convinto Beniamino de’ Liguori Carino, nipote di Adriano, e figlio dell’amatissima Lalla. Da anni Beniamino guida, in qualità di Segretario Generale, la Fondazione che porta il nome di suo nonno, allo scopo di far conoscere sì la figura di Adriano Olivetti, per anni sostanzialmente dimenticata, ma soprattutto di tradurre in pratica il pensiero più geniale e rivoluzionario che rappresentò la vera mission del suo operato : quello dell’ “impresa responsabile“.

«D’altronde – spiega Beniamino de’ Liguori Carino – oggi il valore sociale dell’impresa è un concetto che si sta facendo strada, che sta diventando un esempio da seguire per molte realtà imprenditoriali anche importanti, soprattutto nel centro Italia ». L’impresa responsabile, come la immaginava Adriano Olivetti, è una realtà economica e produttiva che deve tenere conto del lavoratore come figura indispensabile per il successo imprenditoriale di un’azienda e, quindi,  deve anche pensare al suo benessere, alla sua istruzione, al suo stare nella società. Un lavoratore deve essere istruito, aiutato, inserito. E per  questo va sostenuto dall’azienda con delle vere e proprie forme di welfare. Quella olivettiana era una fabbrica aperta, dove entrava la cultura e la bellezza. Che metteva insieme visione architettonica, progetto sociale, senza dimenticare il suo vero scopo, quello di inseguire il profitto. Una visione che negli anni è stata osteggiata da destra e da sinistra. Chi lo accusava di paternalismo, chi di bieco cinismo, ma “la storia fortunatamente si è incaricata di smentire gli uni e gli altri“.

Beniamino de’ Liguori Carino parla di suo nonno Adriano seduto nel giardino della bella villa di campagna in stile canavesano sulla collina di Ivrea dove per anni ha vissuto. Il suo studio è ancora lì. Arredamento essenziale, una grande scrivania e di fronte due eleganti poltrone in radica di noce stile Le Corbusier, il famoso architetto che aveva definito Via Jervis “la strada più bella del Mondo“, lo stradone centrale di Ivrea dove si specchiano tutti gli edifici simbolo dell’epoca olivettiana.

«Al di là del fatto che parliamo di mio nonno – prosegue – io porto avanti le sue istanze perché sono convinto che stiamo parlando di un vero genio, di un uomo che ha cercato di rivoluzionare l’assetto novecentesco della società capitalistica e del rapporto tra padrone, impresa e lavoratore. Parliamo di un’azienda italiana che è riuscita, prima nel Mondo, in anticipo anche  sulla IBM, a portare sul mercato i primi calcolatori elettronici. Di una realtà sana e competitiva,  di fatto della prima impresa locale ma a vocazione globale che ha avuto l’Italia».

Un modello che ancora oggi è attuale. Come attuale é il pensiero di Adriano, la sua idea di una rappresentanza allargata, di una fondazione che condivida la proprietà aziendale con la politica, i sindacati, l’azionariato tradizionale e l’istituzione universitaria.

«Ricercare l’attualità dell’esperienza olivettiana è la missione essenziale della Fondazione», spiega Beniamino de’ Liguori Carino, ben consapevole che la storia di Olivetti non è un foglietto di cartacarbone che si adatta su qualsiasi cosa.

Non è sufficiente passarci sopra la matita perché si ricrei quella stessa situazione, quel tipo di immagine. Anche se la Fondazione promuove studi specifici di quell’esperienza, ad esempio analizzando temi ancora oggi attuali quali l’organizzazione comunitaria del potere locale, il rapporto tra Enti locali e Stato centrale, è fondamentale partire dalla comprensione che il pensiero di Olivetti è un valore universale sempre valido, indipendentemente dal momento storico: è nelle corde di chi oggi fa impresa. Non è un caso che proprio mentre stiamo conversando con Beniamino de’ Liguori Carino, nella sede della Fondazione, si definiscono gli ultimi dettagli per una   full immersion di nove giorni Dynamo Camp finalizzata a fornire a manager e imprenditori gli strumenti per misurarsi con il cambiamento sociale e contribuire al bene comune. Perchè “doing goodè il fattore strategico per creare valore. Sviluppare programmi altamente divulgativi e formativi su questa storia è essenziale, soprattutto per le giovani generazioni che hanno bisogno di conoscere e approfondire come la Olivetti di Adriano sia stata un modello d’impresa globale. «Un’esperienza rivoluzionaria –  puntualizza Beniamino dè Liguori – come se oggi una grande multinazionale, da Google alla Coca-Cola, intendesse promuovere un’immagine di società diversa in modo programmato e strutturato. Adriano aveva un’idea di società “a tutto tondo”, completa, sia nella parte imprenditoriale che in quella politica e sociale».

Su questo concetto, espresso con molta chiarezza dal nipote Beniamino, sembrano riecheggiare le parole di Franco Ferrarotti, sociologo di fama e a lungo braccio destro di Adriano: «Se Adriano Olivetti ha commesso un errore è  quello di essere stato troppo in anticipo sui tempi». Da qui la sfida contemporanea della Fondazione:non disperdere il ricco patrimonio culturale, incidere nella storia attraverso la divulgazione”. Ne sono un esempio la digitalizzazione degli Archivi Olivetti  o le Edizioni di Comunità che, proprio su impulso di Beniamino de’ Liguori Carino, hanno ridato vita alle opere ed agli scritti di Adriano Olivetti. Dal 2012 ad oggi i titoli pubblicati sono stati 36, con circa 60.000 copie vendute finora.

«Troppo spesso oggi – conclude Beniamino de’ Liguori Carino  – si parla  a sproposito di Olivetti e dell’olivettismo». E lo scopo della Fondazione, nata nel 1962, all’indomani della prematura morte di Adriano, a soli 59 anni, è anche questo: «fare didattica e pulizia linguistica». Perché anche sulle parole, sul loro peso, sulla loro  valenza simbolica, si basa l’insegnamento di Adriano. Una tra tutte quella di “comunità“: la parola più usata e abusata quando si parla di Olivetti. Quella che ha dato il nome al suo movimento, a riviste, pubblicazioni, case editrici e gruppi di ricerca a lui ispirati. Ma anche quella stessa parola e quello stesso concetto che, a 50 anni di distanza, un altro movimento, stavolta a carattere più specificamente politico, ha voluto fare sua. “Quanto c’è di Olivetti e del suo pensiero nel Movimento 5 Stelle di oggi ?Nel rispondere a questa domanda Beniamino de’ Liguori Carino  mostra prudenza. Di certo c’è un uomo, Gian Roberto Casaleggio, uno degli ispiratori del Movimento 5 stelle. Casaleggio si è formato alla Olivetti. È lì che ha a lungo lavorato ed è lì che ha fatto suoi, trasfondendoli poi nell’idea di un movimento politico, alcuni insegnamenti dell’olivettismo.

Ad unirli c’e quell’idea che aveva Adriano di superamento della intermediazione politica, quella che con grande preveggenza lo stesso Olivetti teorizzava come una democrazia senza partiti . Impossibile sbilanciarsi su come Olivetti avrebbe visto oggi quel Movimento che in qualche mododa lui prende spunto per i suoi principi ispiratori. «Noi come Fondazione guardiamo con interesse anche alla politica – spiega Beniamino – ma lo facciamo restandone distaccati. Mi è capitato di prendere parte alla Leopolda di Renzi, come all’ultimo SUM organizzato da Davide Casaleggio». E intanto si guarda soprattutto al futuro, aitanti impegni in Italia e all’estero, che coinvolgono la Fondazione Olivetti.

All’orizzonte c’è sempre quell’utopia. Anzi, quello che con un meraviglioso ossimoro Franco Ferrarotti definisce il “sogno razionale” di Adriano: «Tradurre in realtà il concetto di “impresa responsabile”». Quello che poi ad Adriano non è riuscitofino in fondo, ma per una sola ragione:  perché è morto troppo presto.  «E nessuno dopo di lui – chiosa Ferrarotti – ha avuto la sua stessa forza, capacità, visione, di guardare all’obiettivo e di raggiungerlo. Di trasformare, appunto, il pensiero in azione».