La storia di Lydia Maksymowicz, sopravvissuta ad Auschwitz, che ha colpito il cuore di Papa Francesco

I boschi della Bielorussia sono l’ultima luce che Lidia ricordi, prima del buio di Auschwitz. Da cui esce nel gennaio del 1945, dopo la liberazione, per mano a una donna che non è sua madre: una polacca, senza figli, che decide di adottare una delle bambine rimaste sole in un campo disseminato di cadaveri. Lidia cresce con lei. Ma non dimentica la sua vera madre. Non smette di credere che sia viva, di cercarla. E in una storia che sa di miracolo la ritroverà. Del campo, Lidia ricorda il silenzio: a denti stretti, impegnata a sopravvivere, senza potersi permettere nemmeno un’emozione. 

I ricordi di Lidia sono drammatici: “Io all’epoca non mi rendevo conto di dove mi trovato e quale sorte mi sarebbe capitata. Ero troppo piccola per ricordare tutto questo. Di queste esperienze ricordo alcuni effetti e alcuni flash, perché ero una bambina, ma con il tempo ho sentito molti racconti di sopravvissuti. Ho letto molti libri scritti dalle persone sopravvissute che raccontavano la loro realtà, tutto ciò mi ha impressionato tantissimo. Quando ho saputo che mia madre era ancora in vita ero molto sorpresa e molto preoccupata, non capivo perché non mi aveva cercato. Non riuscivo a capirlo, ma questi erano i tempi. So che a causa della cortina di ferro non era possibile fare passare delle informazioni dall’Est all’Ovest. Mia madre aveva scritto alla Croce rossa di Mosca e aveva ricevuto risposte negative”.  Poi sull’esperienza della prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau aggiunge: “Io venivo trattata in maniera sarcastica, perché non potevo essere trattata come un prigioniero politico. Io non sapevo ciò che mi facevano, vedevo solo gli effetti degli esperimenti. Sentivo il mio corpo strano per gli esperimenti che venivano fatti su di me. Ogni mattina dovevo partecipare all’appello con i numeri tatuati. Ogni mattina mancava qualche numero, perché i bambini morivano ogni notte”. E gli incubi “ritornano la notte, non come una storia, ma ad esempio ricordo gli stivali tirati a lucido di Mengele”.

A distanza di moltissimi anni la storia di Lidia Maksymowicz è stata fatta conoscere al mondo grazie all’Associazione “La Memoria Viva” di Castellamonte per non dimenticare gli orrori del passato e far vivere il ricordo e la forza della testimonianza soprattutto tra i giovani. L’Associazione “La Memoria Viva” ha prima realizzato un docufilm con la regia di Elso Merlo, poi tradotto in molte lingue, per raccontare la storia della “bambina che non sapeva odiare”. Il docufilm parla della vacanza in Italia in cui Lidia Maksymowicz, accompagnata dall’Ambasciatrice de La Memoria Viva Renata Rychlik, racconta la sua storia. Una storia lunga quasi 80 anni, con le sottolineature e i commenti di Samuel ModianoItalo TibaldiLiliana Segre, Tadeusz Jakubowicz, don Angelo Bianchi, Giorgio Benvenuto, Riccardo Nencini, Marcello Martini, Monsignor Luigi Bettazzi,  Virginia Tiraboschi, Ananda Craxi, Giuliano Amato, Laura Boldrini,  Stefano Andreotti.

Poi dal docufilm è nata l’idea di un libro, edito da Solferino con la prefazione di Papa Francesco. È stato infatti il Santo Padre a rimanere particolarmente colpito dalla storia di questa signora polacca che in udienza generale, al momento del baciamano, ha scoperto il braccio mostrando il numero tatuato, 70072,  da ex prigioniera di Auschwitz. Papa Francesco l’ha guardata per qualche istante. Poi si è chinato e le ha dato un bacio proprio su quel numero che dopo 76 anni le ricorda quotidianamente l’orrore vissuto. “La mia storia – ha spiegato Lidia- sia ricordata alle nuove generazioni affinché simili orrori non accadano mai più, affinché i loro occhi possano vedere un mondo pieno di amore, di pace e di fratellanza fra tutti i popoli della terra e non debbano mai vedere quello che i miei hanno visto in quei lunghi mesi e che hanno trasmesso al mio cuore e alla mia anima per sempre. Dall’incontro con Papa Francesco è nata l’idea del libro: raccontare la mia esperienza perché finora sono stati scritti libri di superstiti adulti, mentre la storia dei bambini è stata sempre tralasciata. Non bisogna dimenticare che soltanto ad Auschwitz-Birkenau sono morti oltre 200 mila bambini“.

La storia di Lidia  è stata anche presentata nella Sala caduti di Nassyria al Senato della Repubblica con l’introduzione della senatrice Virginia Tiraboschi che ha accolto la proposta di divulgare ai massimi livelli istituzionali la storia di questa donna polacca. Ringraziando l’Italia ed in particolare gli amici dell’Associazione La Memoria Viva, Lydia ha ricordato come “il docufilm  e il libro siano per sempre la mia voce e la voce di quei bambini che purtroppo hanno perso ingiustamente la vita senza sapere nemmeno il perché e di loro ne è rimasta solo cenere in qualche campo o lungo il letto di un fiume, su un registro un numero di matricola spuntato e nulla di più”. Alla presentazione in Senato ha partecipato anche l’Ambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia, Anna Maria Anders, che ha ricordato come la storia di Lidia sia una “straordinaria testimonianza, priva di odio nei confronti dei suoi carnefici, grazie per il suo esemplare amore per la vita. Va riconosciuto anche il suo legame con la Polonia, la sua seconda patria, il suo patriottismo che la famiglia polacca ha trasmesso ad una bambina da loro salvata e poi adottata e amata incondizionatamente. Questo è uno dei tanti, tanti esempi delle gesta eroiche compiute dai Polacchi durante la seconda guerra mondiale, una nazione invasa e oppressa, prima dai nazisti e poi communisti”.

L’Ambasciatore Anna Maria Anders, è la figlia del generale polacco Władysław Anders, che ha salvato migliaia di vite di soldati e di civili, senza distinzione di fede e di nazione. Il Secondo Corpo d’Armata del generale Anders contribuì  infatti alla liberazione dell’Italia, spianando la strada agli alleati verso Roma grazie alla vittoria nella battaglia di Montecassino e liberando numerose città, tra cui Ancona e Bologna. “Quello che mi ha sempre colpito – ha precisato l’Ambasciatore –  è che ovunque  mi trovassi, incontravo persone riconoscenti per le vite salvate da mio padre. Mi sentivo sempre di far parte di questa grande inaspettata famiglia internazionale. E’ poco noto il fatto che questo esercito annoverava nei suoi ranghi numerosi ebrei. Inizialmente i soldati di origine ebraica erano migliaia, ma prima dello sbarco dell’Armata polacca in Italia, durante la sua permanenza in Palestina, quasi 3 mila lasciarono l’esercito polacco, mossi dalla volontà di lottare per la creazione di uno stato ebraico indipendente: Israele. Tra di loro c’era anche il futuro premier di Israele Menachem Begin. Essi lasciarono l’Armata con il tacito consenso del generale Anders che così si espose alla disapprovazione delle autorità britanniche. Nella campagna d’Italia hanno combattuto 838 ebrei polacchi, di cui 18 sono sepolti al cimitero di Monte Cassino. Al termine della guerra, a Roma vissero alcuni reduci del 2° Corpo d`Armata Polacco, tra cui: Kurt Rosenberg e Jerzy Kluger, amici del Papa Giovanni Paolo II”.

Testimoni della storia e di un passato che non deve essere dimenticato e che grazie all’Associazione La Memoria Viva viene custodito e valorizzato. Lidia Maksymowicz è stata anche ricevuta in occasione della giornata della memoria, lo scorso 27 gennaio, dalla Presidente della Rai Marinella Soldi che sottolineato come i temi dell’inclusione e della non violenza sono al centro dell’impegno del servizio pubblico radiotelevisivo italiano.