ASCENSIONE: UN TEMPO DI 40 GIORNI

La festa dell‟Ascensione celebra un tempo di 40 giorni, numero simbolico e parabola. Il riferimento più diretto di questo tempo raccontato, è quello dei 40 anni che il popolo ebraico passa nel deserto, con nelle menti e nel cuore il desiderato ingresso nella terra promessa.

La festa dell‟Ascensione celebra, come il racconto dell‟Esodo, un‟uscita e un‟entrata: l‟uscita di Gesù ebreo dallo spazio terreno e l‟entrata di Gesù risorto nella Gloria Dio, con la nostra umanità. Con questo tempo di 40 giorni termina per i discepoli la sequela dietro il rabbi di Nazareth lungo i sentieri della Palestina ed inizia la missione e la storia itinerante lungo le strade del romano impero. Una storia che è ancora sequela del Rabbi risorto, animata dallo Spirito di Dio che attesta la presenza di Cristo lungo i secoli. L‟Ascensione inizia la storia dei suoi discepoli e di noi con loro, in tutte la città della terra, sotto il Cielo dell‟Emmanuele, del Dio con noi.

La storia di tutti noi discepoli suoi è una storia d‟amore, ben raccontata nel vangelo di Giovanni con la parabola della vite e i tralci: “Io sono la vite, voi i tralci … Se voi rimanete in me e io in voi, percorrendo le vie del mondo e del tempo, porterete molto frutto. Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati”.

Le storie d‟amore non hanno un punto d‟arrivo, un appagamento qualificabile con un abbastanza – ti ho amato abbastanza e tu mi hai amato abbastanza! – , ma sono qualificabili solo come un continuo proseguire, un andare oltre. Gianfranco Ravasi, in un suo commento, ricorda che il biblico Cantico dei cantici – uno dei più belli poemi d‟amore – non si conclude con un abbraccio, ma con “un non finito”: “Fuggi, mio amato, simile alla gazzella o al cerbiatto sui monti dei balsami!”. (8,14)

La storia d‟amore di noi suoi discepoli inizia quel giorno, là sul monte dell‟addio, con l‟invito di Gesù: “Andate in tutto il mondo, proclamate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono nel mio nome: cacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, se prenderanno in mano serpenti non saranno punti da veleno …” (Mc. 16,15-20)

Papa Francesco qualifica, con una sua puntuale metafora, la missione dei discepoli che formano la chiesa: la Chiesa è sempre e solo una chiesa in uscita e un ospedale da campo. Questa chiesa non può attardarsi sul già vissuto. 

E‟ una chiesa in cammino che pro-clama e quindi chiama tutte le genti attorno all„ Evangelo, che si incultura nelle molteplici lingue del mondo e nei disparati stili di vita. Una Chiesa che è costantemente impegnata nella lotta contro il Male e i mali. “Nel mio nome caccerete i demoni”. Una lotta continua, perché un Nemico semina di notte la zizzania nel campo di grano.

Il vivere da cristiani è un‟avventura incessante e ardua, che ha come nemici l‟abitudine, l‟attaccamento a tradizioni, il possesso, l‟appagamento superficiale. La Tradizione è fuoco che cova sotto la cenere e pertanto va attivata nel tempo in una nuova fiamma.

  don Renzo

Ivrea, 13 maggio 2018