DALL’AMORE NESSUNO FUGGE
APAC: in Brasile un carcere senza carceri
Benedetta Grendene, 29.08.2016 FOTOGALLERY
RIMINI – “Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice.”
Questa bellissima frase di Andrej Rublev A. Tarkovskij, che riassume il significato profondo della 37° edizione del Meeting, ci aiuta a comprendere l’esperienza di una delle mostre più toccanti della kermesse riminese. Nel contesto dell’Anno Santo voluto da Papa Francesco che tra le opere di misericordia corporale prevede anche la visita ai carcerati, APAC è una storia di amore incondizionato, esempio concreto che offre un metodo vero, aprendo uno spiraglio di salvezza per cambiare il mondo. Uccidere il criminale e salvare l’uomo: è questa l’esperienza della metodologia brasiliana APAC – acronimo che sta per “Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati” – che da 44 anni opera con l’obiettivo di ricostruire “persone” nelle carceri del Brasile. A partire dalla mostra sostenuta da AVSI Brasil (Associazione Volontari Servizio Internazionale), martedì 23 agosto si è tenuto un incontro moderato dal giornalista Andrea Tornielli, vaticanista de “La Stampa” che ha visto partecipare: Cledorvino Belini Presidente Sviluppo di Gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles) dell’America Latina; Daniel Luiz da Silva, ex carcerato in Brasile; Valdeci Antonio Ferreira, Direttore Generale FBAC (Fraternidade Brasileira de Assistencia aos Condenados) e Luiz Carlos Rezende e Santos, Giudice di Esecuzione Penale del Tribunale di Giustizia di Minas Gerais in Brasile. APAC è l’esito della dedizione totale di molte persone che hanno donato la loro vita condividendo una grande amicizia in un cammino affascinante di fede e carità, dove non si va per evangelizzare ma per essere evangelizzati e incontrare l’altro abbracciando il suo peccato. APAC è nata nel 1972 dall’intuizione e dallo spirito lungimirante di Mario Ottoboni, avvocato di San Paolo che iniziò ad impegnarsi con i detenuti offrendo gratuitamente la sua assistenza a chi non poteva permettersi un avvocato. “Il detenuto è un Mistero immenso e davanti a qualunque Mistero il nostro primo atteggiamento deve essere quello di inginocchiarci e ammettere umilmente che non sappiamo niente e che abbiamo dinanzi a noi un mondo nuovo da scoprire”: queste parole di Ottoboni suggellano in modo chiaro la continua valorizzazione umana della persona, rispetto alle carceri tradizionali.
“Recuperandi”: è questo il termine che sostituisce la parola “detenuti” nel gergo APAC perché qui non ci sono nè numeri, nè uniformi, né polizia, né armi, ma solo le manette dell’amore di Cristo, che imprigionano fino a riscoprire la radice buona dell’uomo, attraverso un processo pedagogico che scinde la persona dalla colpa. Come ricorda Papa Francesco “L’esperienza di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”: l’acronimo APAC significa infatti anche “Amando il Prigioniero (e il Prossimo), Amerai Cristo” segno evidente che le sue radici si fondano nella fede cristiana, nonostante si realizzi nel quotidiano in una pratica ecumenica in cui la salvezza è destinata a tutti, nessuno escluso. “Il fulcro del metodo APAC – come ha sottolineato Andrea Tornielli – si fonda nella terapia della realtà, perché è solo in un rapporto e in un abbraccio che uno impara a riconoscere il suo errore e a non restarne schiacciato”. APAC infatti, nel lento processo di ricostruzione della persona, propone ai recuperandi, abbandonati dietro le sbarre al loro destino, di “fare esperienza di Cristo“ e in loro, a prescindere dai diversi credi o appartenenze, fiorisce spesso una religiosità viva mossa dal bisogno di esprimersi e di trovare un senso alla propria vita, recuperando la certezza di valere molto di più del reato commesso. E un recuperando sarà pronto a tornare nella società e a spiccare di nuovo il volo quando avvertirà l’esigenza di chiedere perdono e di perdonare. Tutto il metodo APAC è teso a questo: provocare l’esperienza del chiedere perdono e del sentirsi perdonati, sperimentando che il perdono è l’essenza dell’amore di Dio. I centri APAC fanno parte del sistema penitenziario pubblico brasiliano e da un punto di vista del diritto civile si presentano come organizzazioni autonome della comunità, senza scopo di lucro e dichiarate di utilità pubblica. Nel loro processo di costituzione è stato essenziale il ruolo di alcuni giudici che hanno riposto fiducia in questo metodo rivoluzionario permettendo che avesse un impatto nel sistema penitenziario generale del Brasile. Tra questi Luiz Carlos Rezende e Santos che al Meeting ha sottolineato come ogni giudice chiamato a decidere in modo responsabile del destino di un condannato, dovrebbe costantemente dedicare il suo tempo a visitare i carcerati, per essere vicino alla realtà che vivono, dal momento che come ci ha insegnato Sant’Agostino “Si conosce solo ciò che si ama”.E a tal proposito aggiunge: “A partire da queste visite sia nelle carceri tradizionali in Brasile sia nelle APAC è nato in me un nuovo sguardo di ammirazione verso chi aveva peccato e l’incontro con i condannati è stata una resurrezione anche nella mia vita”.
San Francesco d’Assisi parla di una “resurrezione dei vivi” e allora essere misericordiosi verso l’altro è l’unica strada possibile per poter rinascere anche come giudice. Il sistema carcerario brasiliano, che oggi ospita 600.000 detenuti, sta cercando di sostenere sempre più le APAC, strutture che si rivelano davvero salvifiche, dal momento che le persone recuperate non tornano alla criminalità e il tasso di recidiva è bassissimo, inferiore al 10 % rispetto al 70% delle carceri tradizionali. Un metodo senza armi e senza guardie che dunque costa meno di un terzo rispetto al sistema classico. Dalle APAC nessuno fugge, perché nessuno fugge dall’amore.
Cledorvino Belini, Presidente del Gruppo FIAT in America Latina, coinvolto in prima persona in questo sistema che è un vortice d’amore che travolge, al Meeting ha raccontato come negli ultimi tredici anni della sua vita, da quando si dedica al volontariato in APAC, riesce ad essere più felice e a guardare le persone dritto negli occhi, andando al di là del loro limite.
Valdeci Antonio Ferreira, Direttore Generale della Fraternidade Brasileira de Assistencia aos Condenados che ha il compito di riunire tutte le APAC, continua a pensare ancora oggi che nonostante i 33 anni di volontariato in APAC, non sa nulla di chi sia veramente quel recuperando, quel giovane che ogni sera si mette le mani tra i capelli e disperato capisce che sta perdendo i suoi anni migliori dietro le sbarre. “In realtà – afferma Ferreira – non esiste peccato che un uomo commette che nessun altro uomo non possa commettere: siamo tutti recuperandi, siamo tutti peccatori e tutti abbiamo bisogno della grazia divina”. APAC è un metodo che, in quanto opera di Dio, nessuno può fermare e dal Brasile è destinato a diffondersi come sta accadendo in Italia con l’attività della Cooperativa Sociale Giotto, che nella casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova ha fatto sì che il lavoro e il perdono diventassero la chiave di volta per l’ingresso dei reclusi in una seconda vita, pienamente vissuta.
Daniel Luiz da Silva, 32 anni, sposato con tre figli, è una delle testimonianze più toccanti e commoventi di quanto il miracolo APAC possa essere una realtà viva e vera. Dopo aver trascorso circa dieci anni di pena nel sistema classico e circa tre anni in una APAC in Brasile, la palingenesi di Daniel ha cancellato in parte le sofferenze che hanno caratterizzato la sua infanzia difficile, dopo l’abbandono del padre e l’incontro con il crimine che si è radicato e impossessato della sua vita, fin dall’età di 12 anni. Lo spartiacque nella sua vita tra il prima e il dopo è stato segnato, come nel caso di molti recuperandi, dalla “giornata di liberazione con Cristo”, ossia quattro giorni di convivenza e di ritiro previsti dal metodo APAC. Daniel in quell’occasione prese in mano per la prima volta una Bibbia e dopo aver letto il versetto di Giovanni: “Conoscerete la Verità e la Verità vi renderà liberi” iniziò a pregare Dio. Da quel momento è iniziato il suo percorso di rinascita che al Meeting lo ha portato pubblicamente a chiedere perdono a tutte le vittime, a nome di tutti i detenuti del mondo. Poi si è sciolto in lacrime con un abbraccio struggente a Valdeci Antonio Ferreira che ha invitato i presenti a sperimentare e a vivere l’esperienza dell’amore e l’esperienza del perdono, unica fonte della felicità. Perché anche il peccato più grande può essere vinto dall’amore, sentimento da cui è impossibile fuggire.
E anche Papa Francesco ricordando l’incontro con i carcerati di Palmasola, in Bolivia, come è riportato nel libro di Andrea Tornielli “Il nome di Dio è Misericordia” afferma: “Ho un rapporto speciale con coloro che vivono in prigione, privati della loro libertà. Sono stato sempre molto attaccato a loro, proprio per questa coscienza del mio essere peccatore. Ogni volta che varco la porta di un carcere per una celebrazione o per una visita, mi viene sempre questo pensiero: perché loro e non io? Io dovrei essere qui, meriterei di essere qui. Le loro cadute avrebbero potuto essere le mie, non mi sento migliore di chi ho di fronte“.
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