AL CUORE DEL SACRO. VIVERE MEDJUGORJE

Emozioni e significati del posto più ‘celeste’ del pianeta

Davide Ghezzo, 23 aprile 2015

MEDJUGORJE Se l’uomo cerca sulla Terra i segni del sacro, se vuole cogliere e capire la presenza divina in mezzo alle creature di carne e sangue, allora dovrà recarsi a Medjugorje.

     Qualcuno obietterà che possono bastare un’alba, un tramonto, un bosco lussureggiante, una sorgente d’acqua limpida in montagna. E’ certo così per gli animi più disposti a lasciarsi commuovere, a cedere di fronte a un semplice spettacolo di natura, che testimonia la potenza creatrice di Dio. Ma in quello sperduto paesino bosniaco, salito agli onori delle cronache non solo religiose nel 1981, c’è qualcosa di più. Una forza, un’energia inspiegabili, che sembrano sollevare l’essere umano verso regioni più rarefatte dello spirito e della sensibilità. Come per tutte le più belle esperienze offerte all’uomo, è difficile trovare le parole per descrivere le sensazioni che vi si provano, il senso di sconvolgimento, di intima trasformazione. E tuttavia qui ci proveremo.

         Partiamo da Leinì, presso Torino, nel tardo pomeriggio, con due pullman stipati di pellegrini in realtà provenienti un po’ da tutta Italia. E’ il Venerdì Santo, non c’è giorno migliore, simbolicamente, per questa avventura.  Il viaggio si prospetta lungo e fisicamente impegnativo, ma Enzo De Simone, organizzatore del viaggio, inizia a condurci nella recita del Rosario e di altre preghiere rivolte alla Madonna. Andando verso est il cielo si incupisce per il crepuscolo ma anche per un temporale incipiente, e tuttavia mentre ci rivolgiamo alla Vergine tutto si alleggerisce, ci sentiamo al sicuro, protetti e liberi di testa. Tra vicini ci si conosce, si creano legami, inizi di amicizie. Ognuno ha la sua storia e le sue richieste interiori da presentare alla Madonna, ma tutti sentiamo all’improvviso di avere una mano sulla testa, una protezione che ci sta avvolgendo.

         Dopo Trieste, e il cambio dell’autista, oltrepassiamo la frontiera e iniziamo la lunga discesa nei Balcani. Nella notte percorriamo la Slovenia e parte della Croazia.  Poi in una mattinata grigia scorrono le pietraie che ci conducono fino in Bosnia, in un paesaggio quasi lunare, desertico. Sull’autostrada passa una macchina ogni tanto, e ci accorgiamo che si tratta di tedeschi o italiani. La guerra jugoslava è finita formalmente vent’anni fa, ma il nulla che ci circonda fa pensare che lo sviluppo di queste terre sia stato bloccato all’infinito.

         Arriviamo a Medjugorje nella tarda mattinata, dopo una lunga attesa alla frontiera bosniaca. Il primo impatto col paese è di estrema semplicità, c’è una via centrale affiancata da bancarelle che mettono in vendita il sacro, sia pure in maniera dignitosa e onesta. Raggiungiamo una pensione semplice, ci danno le chiavi delle camere su un tavolino all’aperto. Nulla lascia presagire la grandezza di ciò che segue.

         Si comincia nella cameretta stessa. A capo del letto c’è un crocifisso, piuttosto rilevato. Mi offre un’emozione improvvisa e violenta. E’ come se il crocifisso mi interrogasse, mi chiedesse che cosa sono venuto a fare. E c’è anche la risposta. Rigenerare, ristrutturare nel profondo la vita.

         Nel pomeriggio saliamo sul Podbrdo, il monte delle apparizioni della Madonna. Ci si arrampica sulle pietre, tra alberelli stenti. Gruppi di preghiera sostano qua e là, ma la meta è più in alto, è la statua della Madonna collocata proprio dove la Vergine è apparsa ai sei ragazzi bosniaci (e donata da un benefattore coreano in seguito a una delle tante guarigioni miracolose). Pellegrini di ogni nazionalità sono sparsi attorno alla statua, ma sostanzialmente sul pianoro c’è silenzio. Non so perché, ma mi ritrovo in lacrime abbracciato a persone appena conosciute. Altrove non sarebbe mai successo. Ripensandoci in seguito, mi sembra di capire che Medjugorje, e quello slargo coperto di pietre in particolare, è il posto della Terra più vicino al cielo.  

         L’indomani è Pasqua, e ci sorprende la pioggia. Andiamo alla statua del Cristo Risorto, una grande struttura in metallo di un Cristo a braccia larghe ma senza croce. E’ stata costruita dalla fusione di bombe inesplose durante le guerra balcaniche. Dal ginocchio da decenni trasuda misteriosamente una goccia, che sarebbe formata dal liquido stesso delle lacrime umane. Ma al di là del fatto inspiegabile, resta il senso di mistero, di raccoglimento, l’energia delle preghiere mormorate a bassa voce lì attorno.

         Nel pomeriggio visitiamo una struttura che ospita giovani recuperati da alcolismo e tossicodipendenza. Ascoltiamo testimonianze di nuovo commoventi, che vanno ancora nella direzione che ho intuito da subito, appena arrivato a Medjugorje. L’uomo ha la forza di rinascere, è come l’araba fenice che risorge dalle sue ceneri. Ma per farlo ha bisogno di un aiuto esterno, dall’alto per la precisione, ch’egli ne sia conscio o meno. Da soli – cioè se guardiamo solo alla parte materiale, economica, sensuale – non siamo nulla, la nostra presenza sulla Terra è insignificante. Il senso al percorso umano è dato dalla ricerca e dall’espressione dello spirito, cioè del cuore e della coscienza dell’uomo, negli strati più profondi e insieme immediati e spontanei della psiche.   

         Il lunedì di Pasquetta ci porta un cielo che si va aprendo, ma anche folate di vento freddo. Di buon mattino incontriamo Vicka, una delle sei veggenti. Parla in italiano (con traduttrice inglese a fianco) da una terrazza, la gente occupa un cortile spazzato dal vento, ma tutti sono come insensibili al freddo, incantati a sentire Vicka, che racconta, nel suo stile un po’ teatrale, sempre sorridente e generoso, l’esperienza e il senso generale delle apparizioni e dei messaggi della Madonna, che si riconducono alla fine a una richiesta di pace e amore umani di superamento dell’odio e delle divisioni. Taluni obiettano che la Madonna di Medjugorje è un po’ troppo ripetitiva per essere credibile. La risposta facile facile è che la Madonna insiste sugli stessi concetti perché l’umanità non ascolta, continua dappertutto tutti i giorni a fare il contrario di quanto Lei propone e supplica.

         Dopo l’incontro con Vicka, ci viene offerta la Messa in italiano, che comprende la testimonianza di suor Cornelia, una donna piuttosto anziana che emana una formidabile energia morale e carismatica. Nel suo intervento suor Cornelia, che guida una comunità di assistenza a orfani e anziani soli, rivolge un monito destinato soprattutto ai giovani, che devono riscoprire il senso della famiglia e della comunità, sfuggendo alle trappole in cui spesso cadono, dalla droga all’alcool fino a quella più subdola e insidiosa, la tecnologia nel suo uso esasperato. La madre conclude con un monito filosofico valido per tutti: ‘Occupati, ma non preoccupati‘.

         Nel pomeriggio l’ultimo grande impegno è la salita del Krizevac, un altro monte frastagliato di pietre, fino a raggiungere una grande croce costruita nel 1933, per i 1900 anni dalla morte di Cristo. Il percorso è difficile e lungo, circa tre volte il Podbrdo; ma viene alleggerito – contrariamente a quanto suggerirebbe il nome – dalla recitazione della Via Crucis, lungo 15 stazioni in bassorilievo. Il nostro gruppo è eterogeneo a dir poco, anziani, bambini, portatori di handicap… ma tutti arrivano in cima senza problemi. Forse è questo il vero miracolo. L’energia che promana dal posto, la forza del genius loci ti passa direttamente nei nervi e nei muscoli.

         Il viaggio di ritorno è un’avventura. In Croazia l’autostrada è chiusa per il vento, bisogna risalire la costa, che per il pullman si rivela ancora più rischiosa. Il ritardo si dilata. In Italia un incidente costringe di nuovo a un lungo tratto in statale. Ma sono sciocchezze, che non turbano la pace conquistata nei giorni precedenti, e che si suggella nel saluto finale a Leinì, con la promessa di nuovi incontri di preghiera, e se Dio vorrà di un nuovo viaggio nella remota e meravigliosa località bosniaca.

        Come intendere Medjugorje?, titola uno dei saggi più in vista sulle bancarelle del paese. A oltre trent’anni dall’inizio delle visioni, è forse possibile tentare una risposta su uno sfondo abbastanza ampio.

         Medjugorje è un aiuto, un appoggio spirituale offerto dalla Madonna a tutti coloro che vi si recano. Certo può essere interessante e utile anche solo lo studio del fenomeno, della storia delle apparizioni e di tutto ciò che ne è conseguito anche sul piano puramente umano e sociologico. Ma se uno cerca delle risposte, se occorre un conforto e un’illuminazione a fronte dei problemi che tutti noi ci troviamo ad affrontare nella vita, allora vale la pena di imbarcarsi e vivere quest’avventura.

         Beninteso, il fenomeno non va inteso in una chiave esclusivistica; gli indu e i buddisti che non ne hanno forse mai nemmeno sentito parlare non sono al di fuori del piano di salvezza pensato da Dio e voluto dalla Madonna per l’umanità. Essi avranno altri agganci, altre suggestioni utili a innalzarli sul piano spirituale. Nemmeno gli atei e gli agnostici sono esclusi a priori – anche se qualche problemino in più potrebbero avercelo – perché alla fine l’uomo sarà giudicato dal suo cuore, dalle intenzioni e dalle azioni dedicate a se stesso e al prossimo. Ma per chi sta nella tradizione cristiana, per chi riconosce la grandezza spirituale di Gesù, del suo messaggio e della sua vicenda terrena, è giusto rivolgerci alla Madre celeste, che ci ama come e più della nostra madre terrena, auxilium Christianorum che si offre come sorgente purissima di luce spirituale, di conforto e sorriso per la nostra anima tormentata. Vale la pena di riscrivere qui le parole dettate dalla fede, sintesi e messaggio che collega la terra al cielo: ‘Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con Te, Tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte, amen.’