L’ARTE DEL GIOCO DA KLEE A BOETTI AD AOSTA

Un percorso di tredici sezioni in  cui a mettersi in gioco è  il sapere dell’arte

DICEMBRE 2002

AOSTA – Venerdì 20 dicembre, nell’ambito del Progetto «Valle d’AostArte», apre i battenti al Museo Archeologico Regionale di Aosta, piazza Roncas 1, la mostra «L’Arte del Gioco. Da Klee a Boetti», un’ampia rassegna che affronta il tema del gioco nell’arte del 1900, dalle avanguardie ai videogiochi, a cura di Pietro Bellasi, Alberto Fiz e Tulliola Sparagni. Rimarrà visitabile fino a maggio 2003 (info: tel. 0165.27.59.02; www.regione.vda.it)
Curata da Pietro Bellasi, Alberto Fiz, Tulliola Sparagni, l‘iniziativa, dal taglio inedito, ripercorre un tema ricco di significati attraverso 200 opere tra dipinti, sculture, installazioni, fotografie, video e videogiochi provenienti da alcune delle maggiori collezioni pubbliche e private italiane e internazionali. La lista dei prestatori comprende lo Sprengel Museum di Hannover, la Fondation Maeght di Saint-Paul de Vence, il Bauhaus-Museum di Weimar, il Museo Jean Tinguely di Basilea, il Mart di Trento e Rovereto, la Fondazione Margherite Arp di Locarno, la Fondazione Mazzotta e la Fondazione Mudima di Milano.

Il percorso espositivo, suddiviso in 13 sezioni, si sviluppa sui due piani del Museo, partendo dalle esperienze delle avanguardie, in particolare il futurismo, il dadaismo, il surrealismo, il Bauhaus e Fluxus, per giungere sino all’interpretazione del gioco nell’arte contemporanea attraverso la presenza, tra gli altri, di Mike Kelley, Cindy Sherman, Haim Steinbach, Pipilotti Rist e Maurizio Cattelan.

Gli artisti in mostra sono 70 e affrontano il gioco in tutte le sue differenti sfaccettature interpretando in maniera eterodossa e a tratti provocatoria la rivoluzione artistica del Novecento, che accoglie al suo interno fattori di casualità, precarietà, dimensione dell’inconscio e della fantasia, tutti elementi che si rintracciano nell’attività ludica. «Se la funzione dell’arte è quella di rimettere in discussione le regole costituite ponendosi come voce critica all’interno del sistema», spiega Alberto Fiz, «ecco che il gioco diventa l’elemento essenziale per raggiungere la consapevolezza e sviluppare nuovi spazi di creatività».

Il gioco attua un ribaltamento del punto di vista, ponendo lo spettatore in continuo allarme;  al contrario di quanto si possa pensare, nell’arte del gioco non c’è nulla di rassicurante. «L’arte ha in comune col gioco la libertà e il disinteresse», sosteneva Immanuel Kant alla metà del ‘700 e nel 1939 lo storico olandese John Huizinga scriveva: «Il gioco è un’azione libera, conscia di non essere presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta che nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore; azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito».

La mostra ha lo scopo di dimostrare come il gioco non sia semplicemente uno strumento, ma un sistema di pensiero in grado d’imporre una logica alternativa rispetto a quella tradizionale. E questo avviene attraverso un percorso appassionante e spettacolare, anche se filologicamente molto rigoroso. «Non vuole essere una mostra di carattere storico», spiegano Pietro Bellasi e Tulliola Sparagni, «ma piuttosto una rassegna caratterizzata da continue sorprese e imprevisti dove l’arte si mette continuamente in gioco».

L’avvio dell’esposizione coincide con l’esperienza futurista e in particolare con la camera dei bambini progettata da Giacomo Balla nel 1914, con all’interno un armadio bianco e verde esposto in mostra. «Il giocattolo futurista sarà utilissimo anche all’adulto, poiché lo manterrà giovane, agile, festante, disinvolto, pronto a tutto, instancabile, istintivo e intuitivo», scriveva Balla insieme a Fortunato Depero nel manifesto Ricostruzione futurista dell’universo.

Di Depero, che ha teorizzato il gioco libero futurista viene presentata una serie di documenti, disegni e marionette provenienti dal Mart, tra cui il Bozzetto per Marionetta Uomo con i baffi del 1918 e il Bozzetto per Marionetta Scudata del Teatro Plastico. 

Nell’ambito delle avanguardie storiche, molto ben rappresentato è anche il dadaismo caratterizzato dalla celebre Boite en valise di Marcel Duchamp e i suoi libri sugli scacchi. Non mancano poi le interpretazioni degli scacchi di Man Ray di cui è esposta la scacchiera Boardwalk, 1917-1973, tecnica mista su tavola con elastici e bottoni. Proprio Man Ray, nel 1962 aveva scritto un testo-poema intorno ai bordi per un tavolino per il gioco degli scacchi decisamente giocoso: «Il Re è per me – La Regina è la tua/La Torre fa fiasco – L’Alfiere è folle come voi/Il Cavallo deraglia – Il Pedone fa lo spione/come ogni canaglia». Dagli scacchi si passa alle carte da gioco interpretate da Sonia Delaunay e da Emilio Tadini, presente con un’opera che vuole essere anche un modo per ricordare l’artista milanese scomparso nell’ottobre scorso.

Tornando alle avanguardie, ha un ruolo significativo la figura di Paul Klee di cui viene presentato Pesci che giocano-miniaturistico del 1917 e Tre maschere del 1936. Accanto a René Magritte, Yves Tanguy e Oscar Dominguez, l’esperienza surrealista passa attraverso un’emblematica opera di Joan Mirò, Personnage del 1967, una scultura di oltre due metri. Di Mirò, il poeta e amico Tristan Tzara scriveva: «Nel suo universo, quando si mira giusto, non è vietato coronare la storia dell’arte con un saluto irriverente, perfino mostrando la lingua. Di qui i piaceri senza smorfia, di qui la fecondità del riso; che si prendono in parola, si colgono al volo».

La mostra sottolinea l’importanza del gioco nell’ambito del Bauhaus proponendo i lavori di Alma Siedhoff-Buscher e di Julia Feininger e dedica uno spazio specifico a Fernand Léger con l’intera serie di 34 litografie a colori (1950) sul tema del circo. «In quel salone pieno di luci e di pietre preziose siamo tutti come nel fondo del lago incantato in cui, leggendo racconti di fate o andando al circo, ci siamo sentiti molto lontani dalla terra», affermava lo scrittore spagnolo Ramon Gomez de la Serna. Agli acrobati del circo e ai movimenti dei clown s’ispirano anche i mobiles di Alexander Calder rappresentati in mostra da Mobile sur pied, un’emblematica scultura del 1967.

La sezione storica, poi, è arricchita da una serie di opere realizzate dai Dioscuri, Giorgio De Chirico e Alberto Savinio. Di quest’ultimo, viene presentato uno straordinario dipinto sul tema dei giocattoli, Senza titolo del 1930, oltre a una caricatura del 1942-42 dedicata a Menelao, Elena e Paride. Tra le opere di De Chirico sono esposti in mostra Combattimento di puritani del 1933, dove i temi del mito e della classicità vengono rimessi in discussione con ironia, oltre a una rara copertina di un libro per bambini dal titolo Nel paese delle Gatte Fate (1944). Ma il mistero e l’enigma sono il punto di partenza anche di un altro grande maestro italiano presente in mostra, Gino De Dominicis.
Non poteva mancare il Nouveau Réalisme contrassegnato in mostra dalle personalità di Mimmo Rotella, Niki de Saint Phalle, Daniel Spoerri e Jean Tinguely. Di quest’ultimo arriva, direttamente dal Museo Tinguely, una delle sue opere più celebri, Maschinenbar, 1960-1985 un’installazione lunga dieci metri da cui emerge la dimensione ironica e dissacrante del suo universo visivo. «Una macchina doveva essere bella, comica, il bambino che con essa giocava non doveva porsi il problema di toccare un’opera d’arte e il risultato doveva essere pertinente, concreto, utilizzabile».

Se Rotella è presente con vere e proprie rotelle di liquirizia, Spoerri espone Piano Emmenthal un pianoforte del 1990 elaborato come fosse un formaggio emmenthal. Di Niki de Saint Phalle, accanto a una serie di sculture, vengono presentati alcuni progetti e incisioni realizzati per Il Giardino dei Tarocchi realizzato nella Maremma toscana.«Questi simboli delle carte sono qui per insegnarci qualcosa in più riguardo al nostro avventuroso e meraviglioso viaggio che è questa vita», ha scritto l’artista recentemente scomparsa.

Gioco come provocazione e come rilettura dell’universo estetico nell’esperienza di Fluxus, di cui viene presentata una Cabina di Allan Kaprow e Giuseppe Verdi, un caratteristico robot di Nam June Paik costruito con vecchie radio, una pianola, bobine cinematografiche, un violino e un cappello in feltro. Si tratta di una VideOpera in un universo dove i robot non sono altro che un modo per ridisegnare i giocattoli dell’infanzia. Anche Mike Kelley, celebre artista americano dell’ultima generazione assembla in un quadro mosaico del 2001 oggetti a metà strada tra il trash e la nostalgia.


Un’attenzione particolare è stata dedicata a due storici protagonisti dell’arte italiana, Bruno Munari e Fausto Melotti, che hanno fatto del gioco inteso nella sua dimensione poetica e culturale un aspetto essenziale della loro ricerca. «Il gioco o il giocattolo non devono essere conclusi o finiti perché così non permettono la partecipazione del fruitore», ha affermato Munari di cui sono esposte in mostra una serie di opere emblematiche come le sculture da viaggio, le Macchine aeree, i Prelibri, i Libri illeggibili, la Singer, la sedie per le visite brevi adatta per gli ospiti indesiderati e l’Abitacolo del 1971, una struttura in metallo vuota che può essere liberamente completata dai fruitori con l’inserimento di letti, biciclette, peluche o giocattoli.

Sono cinque le sculture di Melotti esposte tra cui Quasi per gioco, 1976, I clowns 1978 e Cane travestito da cane, 1978-80. Sono composizioni plastiche fortemente ironiche caratterizzata dalla leggerezza inafferrabile del gioco. «Nel divertimento delle parti, non “piani” correttamente giustapposti e palesi, ma piani che, giocando fra loro, danno vita a piani immaginari. Un gioco che, quando riesce, è poesia», scriveva Melotti definito da Italo Calvino “l’Acrobata invisibile”.

Una sala personale è dedicata ad Alighiero Boetti, di cui sono esposte una serie di opere emblematiche, tra cui due Dame del 1967 e due dipinti della serie Faccine del 1978. Sono opere da cui emerge con chiarezza la sua capacità di reinventare nuove regole del gioco in base alla riproposizione di una logica individuale. «Il suo gioco è ludus, gioco regolato con cui solo è consentito protrarre nel tempo, dalla maturità fino alla vecchiaia, la spontaneità sregolata del gioco infantile», scriveva nel 1984 Alberto Boatto.

La riflessione sull’infanzia è una delle questioni centrali della mostra che passa attraverso i dipinti per l’infanzia di Andy Warhol, Winnie The Pooh di Mario Schifano, il Meccano di Enrico Baj, Pinocchio di Mario Ceroli e No frost, il frigorifero di Liliana Moro ricoperto da una carta da parati illustrata con i personaggi dei cartoni animati. Ma all’infanzia rimandano anche la Torre di torrone e la scultura di Marcel Duchamp in cioccolato Peyrano realizzati da Aldo Mondino.

La mostra, insomma, attraverso un ampia carrellata storica, ha lo scopo di mettere in gioco il sapere dell’arte e lo fa giungendo sino ai lavori recenti di Stefano Arienti, Maurizio Cattelan, Miltos Manetas, Lorenzo Scotto di Luzio, Loris Cecchini, Dafni & Papadatos, Patrick Tuttofuoco e Eva Marisaldi. Di Cattelan viene esposto Riccardo Cuor di Leone, una scultura che ironizza sul principio della clonazione. «In fondo non invento nulla, quello che realizzo esiste già, è continuamente sotto i nostri occhi. Lo sposto e lo rimetto in gioco creando un cortocircuito tra sentimenti opposti», ha affermato Cattelan.

Tra i giovani artisti contemporanei che maggiormente hanno indagato il tema del gioco non poteva mancare l’artista svizzera Pipilotti Rist con il video I’m not the girl who misses much. Un’appendice dedicata alla net-art con il videogioco di Eva Marisaldi, Tristan, dove lo scopo è quello di aprire le porte del castello incantato e un altro videogioco di Miltos Manetas che esplora l’universo dei Pokemon