San Donato

Omelia dell’Arcivescovo Riccardo Fontana – Cattedrale di Arezzo, 7 agosto 2015

Ordinazione presbiterale di Don Daniele Leoni

 

Venerati fratelli nell’episcopato, miei amati preti,

fratelli e sorelle nel Signore: il Signore ci dia pace!

La nostra Comunità diocesana fa festa nel giorno della nascita al Cielo di San Donato, nostro vescovo e martire. Mi piace condividere alcune riflessioni sull’uomo di Dio che è diventato nostra identità collettiva, mentre il Signore ci sta facendo dono di un nuovo prete, in te caro Don Daniele,

per la Chiesa dove sei nato. Non abbiamo meritato questa grazia; siamo pieni di meraviglia e confusi dalla misericordia del Signore, come il popolo in mezzo al quale Gesù operò i miracoli, durante la sua vita terrena.

 

      1. La santità di Donato è una proposta: fare della nostra vita un dono

       Papa Gregorio Magno[1]insegna che la santità di Donato è espressa dal suo stesso nome: è santo perché è donato: donato a Dio per il servizio del popolo, di questo popolo.

Sull’insegnamento del profeta Ezechiele, il pastore vero delle pecore le cerca e ne ha cura; pur se disperse le raduna, le riconduce alla propria terra; offre loro un luogo dove ben riposare, fascia le

ferite e cura i danni del male[2]. San Donato è il modello di ogni buon pastore del popolo di Dio. Ogni ministro del Signore deve essere speso per gli altri, donato agli altri, consumato, affaticato, fino al dono supremo di sé, fino al martirio, che non sempre è cruento. Tanti nostri preti si sono spesi nei  giorni e negli anni, nella fedeltà alla consacrazione ricevuta nel Battesimo prima, poi, noi sacerdoti, nella Sacra Ordinazione.

   “Sacerdos et hostia”[3]  dicevano i medievali per esprimere la connessione che c’è tra l’Eucaristia e la vita del sacerdote. La ragione del dono di sé non è nella decisione personale, nell’attitudine psicologica, nella condizione storica in cui si manifesta il ministero. E’ invece adombrata nella complessa narrazione dell’Ultima Cena. Nei Sinottici, il comando “Fate questo in memoria di me”[4], se è estensibile a tutto il popolo di Dio, è certamente rivolto in primo luogo agli Apostoli commensali del Signore e, tramite loro, al Collegio dei Presbiteri. In Giovanni la stessa Eucaristia è adombrata nel servizio, nella lavanda dei piedi[5]. Anche nella prima moltiplicazione dei pani il comando di Gesù è esplicito: “Date loro voi stessi da mangiare[6]. In risposta alla Madre dei figli di Zebedeo, che chiedeva per i propri nati che sedessero alla destra e alla sinistra nel Regno.

Gesù risponde che l’alternativa del progetto di Dio sta nel fatto che maggiore responsabilità è conferita a chi più serve[7].

    Caro Daniele da questa sera sei inserito nel Collegio Presbiterale, ossia nel novero di coloro a cui è chiesto di “Agere in persona Christi capitis[8], cioè di farsi carico della fatica apostolica, delle contraddizioni e delle contestazioni del mondo, della croce, se vogliamo avere parte nel Regno con il Cristo glorioso.

            Ci è chiesto, miei fratelli, di essere anche noi, “donati”. La nostra parte è ricordare al popolo, con lo stile della vita praticato, la dimensione soprannaturale della Chiesa. Aiutare quanti incontriamo ad accorgersi delle meraviglie di Dio. Siamo costituiti “testimoni delle sofferenze di Cristo partecipi della Gloria che deve manifestarsi”[9]. La nostra parola sarà credibile se sapremo narrare il Vangelo con la nostra carità, vissuta giorno per giorno. Siamo posti sul candelabro. L’unico modo per far luce è lasciarci logorare per amore del prossimo dall’usura del tempo, come una candela che, per splendere, non può che consumarsi[10]. Una vita spesa per il prossimo è la nostra vocazione e la comune missione. La festa di San Donato è l’occasione propizia per celebrare in terra aretina il sacerdozio cattolico, per presentarci “davanti a ogni coscienza umana al cospetto di Dio[11]  e dire la bellezza di una vita dedicata al bene degli altri. Il ministero che ci è affidato dalla divina misericordia non ci fa perdere d ’animo, anche in mezzo alle difficoltà. Secondo l’insegnamento paolino, ci è chiesto di rifiutare il compromesso con la cultura mondana, per annunziare apertamente al mondo la bontà di Dio e la Sua benevolenza verso di noi. Essere preti è una bella storia di amore per la Chiesa, per quanti nel nostro servizio incontreremo, annunziando a tutti la paternità di Dio e la sua misericordia.

 

       2. Il ministero che ci è affidato

      Divenuti ministri di Dio siamo consapevoli di essere chiamati a insegnare, santificare e guidare[12] questo popolo amato: a mostrare con le parole e coi fatti la misericordia di Dio, a rendere ogni persona che incontreremo aperta al dono di Dio, ad avviare ciascuno a incontrare il Signore in questa vita e nell’eternità beata.

Anche la Chiesa di San Donato sa che la nostra efficacia non è nei personalismi dei sacri ministri, ma nell’obbedienza e nella perfetta sintonia con il Vescovo di Roma, che il Signore ha stabilito come perno dell’unità della sua Chiesa. Anche in questa Comunità ecclesiale aretina, cortonese e biturgense ci è chiesto di conservare l’unità[13] valorizzando le diversità, “sforzandoci di conservare l unità dello Spirito con il vìncolo della pace[14]. Il tempo che stiamo vivendo ci presenta molteplicità di tradizioni e di provenienze anche nel presbiterio, un assai diversificato approccio ai temi alti della vita, chiamati a vivere in un groviglio di culture. Persino all’interno delle famiglie una generazione stenta a trovare il linguaggio adatto per narrare all’altra i fondamenti della propria storia.

La città e il territorio facilmente tendono a disgregarsi. Alla Chiesa del Signore tocca ricostruire l’unità, rimediando gli strappi avvenuti e ripresentando al popolo gli ideali del Vangelo, in perfetta

sinergia tra di noi, popolo e presbiterio, religiosi e religiose, laici aggregati nelle parrocchie, nei movimenti e nelle varie articolazioni del popolo di Dio.

    Anche la Chiesa di San Donato, come le altre Chiese d’Italia, vuole raccogliere l’invito alla Missione, che Papa Francesco sta rivolgendo alla Chiesa universale. La via dell’umiltà, che è la porta di ogni virtù, va perseguita ogni giorno, fino a diventare lo stile della nostra vita. Nel servizio agli altri, crediamo che sia vera priorità fare tutto il possibile perché gli altri diventino migliori di noi. La nostra fatica mira a che tutti abbiano una conoscenza di Dio ancor più lucida ed efficace. Occorre rendere accessibile a tutti la misericordia di Dio Padre, il Vangelo di cui oltre ad essere annunziatori dobbiamo essere credibili testimoni.

 

      3. L’esercizio del ministero alla maniera di San Donato

La testimonianza di San Donato, pastore esemplare, è raccontata alla maniera antica con il linguaggio dei suoi miracoli, perché le moltitudini possano rendersi conto che dietro e sopra di noi c’è il Signore a rendere efficace quanto predichiamo.

            C’era una volta in Arezzo una ricca vedova di nome Siranna[15], una dei tanti convinti di non aver bisogno degli altri. Vi sono persone che credono che con i propri soldi e le conoscenze che hanno, possano ottenere tutto. Oggi vi è davvero il rischio che perfino la Verità di Dio sia erosa dal materialismo pratico e che il potere del danaro, diventato una sorta di cultura diffusa, accechi molti.

Alla vedova Siranna, già felice e spensierata, era successa una grande disgrazia: era diventata cieca.

La Passio sancti Donati racconta – il modello agiografico è quello dell’emorroissa[16] – di questa ancor giovane vedova che va in giro per medici in cerca della soluzione del suo problema e, malgrado i suoi soldi – l’autore della Passio dice “non meruit” – non gli riuscì di riottenere la vista. llariano il monaco dell’Alpe di Poti – ci piace avere con noi anche in questa festa di San Donato i monaci – ospita il sacerdote Donato. Il piccolo figlio di Siranna conduce la madre dal Santo, perché narri all’uomo di Dio la sua sofferenza e gli chieda aiuto.

Leggiamo insieme la valenza simbolica del messaggio: è il bambino che porta la mamma da San Donato, gli racconta la sua storia, le sue vicende, il suo tentativo inutile, vano, di guarire. Ancora oggi capita assai spesso nelle nostre parrocchie che siano i piccoli a riportare i genitori alla fede, soprattutto per le Prime Comunioni e le Cresime: li inducano a pensare alle cose di Dio e a esprimersi di conseguenza. Donato ascolta e risponde a Siranna: “Ti manca l’olio”. Allora l’olio era segno di ricchezza, di campi e di beni posseduti in abbondanza. Risponde sprezzante la donna: “Ne ho tre ziri pieni a casa, senza contare tutto ciò che ho nei campi!”.Il racconto antico fa tornare alla memoria le cantine d’un tempo, orgoglio dei più ricchi tra i nostri antenati. Soggiunge San Donato: ‘”Non è quell’olio che serve a te, o donna”. Sembra il linguaggio al pozzo di Gesù con la Samaritana[17].

L’agiografo parafrasa la narrazione biblica dell’incontro tra il profeta Elia e la vedova di Sarepta di

Sidone[18]. Allora come ora, è la carità che salva. “Non è quell’olio lì che ti giova” torna a dire anche

a te San Donato. Con il potere del danaro, cari aretini, si va poco lontani, soprattutto se ti servono

solo per compiacerti, per acquisire potenza; se credi che il senso della tua vita sia acquisire ricchezza sempre maggiore, ignorando gli altri! Diventi cieco se non ti accorgi che una larga parte della città stenta ad arrivare alla fine del mese e che la povertà delle fasce più deboli della nostra popolazione chiede, a chi può, di creare lavoro. Sei cieco se credi di potere tutto, che tutto ti sia dovuto perché hai accumulato ricchezza.

             Servono preti amabili nel tratto, ma liberi nel cuore. Preti di tutti: ricchi e poveri, sani e malati, giovani e vecchi, italiani di antica origine, aretini da poco arrivati tra noi: preti della carità, ministri della misericordia.

Non ci è chiesto di giudicare nessuno, ma di aiutare tutti. Il primo passo per uscir fuori dalla cecità di Siranna, su consiglio di San Donato, fu ed è tutt’oggi il dialogo. San Donato non contesta, non fa questioni di politica sociale. Si accorge che tutti hanno bisogno del Vangelo per ritornare sulla retta via, per accorgersi di ciò che succede accanto a te. Il Santo si mette a parlare: è palese che quella di San Donato a Siranna sia stata una catechesi sulla riconciliazione con Dio. Spiega, provoca, risponde poi le dice: “Cinque cose ti servono: deporre il peso del peccato”. Tocca a noi decidere davanti a Dio benedetto, presso l’arca di San Donato, di cambiare il nostro modo di ragionare, se la mentalità pagana ci fosse entrata nel cuore, se ragionassimo come gli altri, come quelli che in Dio non credono. Siamo diventati tiepidi, forse come la chiesa di Laodicea[19]. Donato a Siranna chiede di detestare gli idoli cechi e sordi. Il ministero della riconciliazione che ci è affidato ci rende possibile ripetere i miracoli che furono concessi da Dio a San Donato.

            La via cristiana che fece grandi i nostri antenati, le radici della nostra cultura chiedono  altro.

Occorre fissare gli occhi su Gesù autore perfezionatore della nostra fede e ritrovare la via della solidarietà. Al bambino che ti aspetta a casa e che forse ti chiederà dove sei stato stasera, abbi il coraggio di dire che sei andato a mettere gli occhi su Gesù, a rimetterlo al centro della tua vita insieme agli altri aretini, saliti in duomo. Poi sarà facile passare dalla fede ritrovata ai sacramenti. Il ministero del vescovo Donato chiede a Siranna, come misura della sua maturità riconquistata la purezza de cuore: quanta speranza portasse con sé!

            Troppo spesso, laudatores temporis acti[20], da San Donato siamo interrogati su ciò che facciamo per cambiare il presente. Il Signore ha messo nella Chiesa di Dio, principalmente nel laicato,  compito di far sì che la città dell’uomo, quest’Arezzo nostra amata, assomigli – con le sue porte intitolate ai Santi, lungo il giro delle mura – alla città di Dio. Tocca a noi testimoniare il Vangelo e metterlo in pratica. Tocca a noi ricominciare evangelizzando e pregando. Anche a noi tocca di uscir fuori dal guardare soltanto a noi stessi e recuperare per questa Chiesa diocesana il ruolo di lievito dentro la farina, di sale che dà sapore alle cose, di torre che offre a chi è in cammino, la giusta prospettiva per ritrovare la strada.

            Che fa Siranna, finalmente risanata? Dice la Passio sancii Donati che il nostro Patrono la porta dal Vescovo che la battezza. La chiesa unita attorno al successore degli apostoli: un solo cuore, un solo spirito. E il frutto immediato della fede ritrovata è che la ricca Siranna si libera degli orpelli e si accorge dei poveri. La via della carità è il sigillo dell’opera di Dio. È dono di Dio accorgersi delle sofferenze altrui. Andiamo col pensiero ai cinque ospedali del nostro territorio. Tanta gente è disperata. Anche per le vie e le piazze, se riuscissimo a vedere le sofferenze delle famiglie sarebbe facile accorgerci dei bisogni della gente e del ruolo che Dio ci affida, d’essere suoi ambasciatori[21].

La Chiesa si manifesta – dice ancora la Passio sancti Donati – nella comunione al corpo di Cristo, nell’unità organica con cui provvediamo ai bisogni spirituali e materiali di chi è nella tribolazione, facendo della nostra vita un dono.

            Donato, santo patrono, torna a illuminare la nostra Chiesa, ridonaci l’entusiasmo di spendere la vita per gli altri, per il bene comune! Insegnaci che il mistero della salvezza è l’amore. L’unità nella Chiesa, la comunione al corpo di Cristo ci farà liberi, significativi e forti. È quel Crisma dall’alto – l’olio che mancava a Siranna – lo Spirito Santo di cui abbiamo bisogno.

La potenza di Dio, per intercessione del Santo che esprime la nostra identità, torni a infiammare di carità questo popolo bello, questa storia incantata che vuole ritrovare la via del Cielo.

 


[1] Cfr. San Gregorio Magno, Dialoghi I, 7,3

[2] Cfr. Ez 34, 11,16

[3]Cfr San Tommaso, “Ipse Christus, in quantum homo, non solum fuit sacerdos, sed etiam hostia perfecta, simul existens hostia pro peccato et hostia pacifica et holocaustum” Summa Theol., 3a 22,3

[4] Lc 22, 19

[5] Cfr Gv 13, 3ss

[6] Me 6,37

[7] Mt 20, 20-23

[8] Concilio Ecumenico Vaticano II, “I presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, inn modo da poter agire in nome di Cristo capo”, Decreto Presb. Ord. 1,2

[9] 1 Pt 5,1

[10] Cfr. Messale Romano, Preconio pasquale’. “Qui, licet sit divisus in partes, mutuati tamen luminis detrimenta non novit”

[11] II Cor 4,2

[12] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Ap. Lumen Gentium 10

[13]Concilio Ecumenico Vaticano II, “In virtù della comune sacra ordinazione e missione tutti i presbiteri sono tra loro legati da un’intima fraternità che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, nei convegni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità”. Cost. Ap. Lumen

[14] Ef 4,3

[15] Cfr. Passio Sancti Donati Prima

[16] Cfr. Me 5,25 ss

[17] Cfr. Gv 4,7 ss

[18] Cfr. I Re 17,7 ss

[19]  Cfr. Apoc. 3.14 ss

[20] Quinto Orazio Fiacco, Ars Poetica, 169-174: “Multa senem circumveniunt incommoda, vel quod /quaerit et inventis miser abstinet ac timet uti, / vel quod res omnis timide gelideque ministrat, / dilator, spe longus, iners, avidusque  futuri, difficilis, querulus, laudator temporis acti / se puero, castigator censorque minorum”.

[21] Cfr II Cor 5,20