IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

Un Monito Da Assisi

Editoriale di Davide Ghezzo – 6 ottobre 2013

Nella festa del patrono della nostra nazione e della pace, papa Francesco raduna ad Assisi una folla mai vista, di oltre centomila persone. Nemmeno Wojtyla, il papa mediatico per eccellenza, era mai riuscito a tanto.

Come suo solito, ma con tanta maggior evidenza in ragione dell’importanza dell’evento, Bergoglio manda a gambe levate il protocollo, i programmi, i suggerimenti dei consiglieri. Si ferma a parlare coi giovani, accarezza bambini e disabili fisici e mentali; pranza con frati e suore di clausura, anziché con le autorità civili e religiose. Ha una parola per tutti, cui unisce sempre un sorriso, aperto, franco. E nel suo esserci per tutti, incredibilmente, non ha mai fretta. Si sofferma, ascolta, prega.

Le sue ‘istruzioni per l’uso‘, pronunciate nei vari momenti della massacrante giornata nel paese del Poverello, sono nette, chiare, prive di ogni ambiguità; costringono chi lo ascolta a prendere a sua volta una posizione univoca, in cui non c’è posto per distinguo ed eccezioni assortite.

Il pericolo più grave che interessa la Chiesa, ammonisce il Papa, è la mondanità. Egli la paragona alle più gravi tra le malattie, la lebbra, il cancro. La mondanità crea prepotenza, vanità, idolatria del denaro – chiodo su cui Bergoglio batte spesso e volentieri.

Ma il pontefice parla a nuora perché suocera intenda: la tentazione degli onori mondani non è certo un’esclusiva delle gerarchie ecclesiastiche, ma permea l’intera società civile, asservita ai falsi idoli dello show business, a veline e principesse del nulla che riempiono pagine di rotocalchi e lunghi e inutili servizi televisivi. E’ lo spirito del mondo, l’impostazione materialistica cui l’uomo comune cede troppo spesso, per comodità e pigrizia il più delle volte, per vizio di mentalità e razionalismo che si contorce su se stesso in alcuni, disperati casi.

Ma lo spirito del mondo è anche quell’atteggiamento diffuso che ci porta a guardare ai morti di Lampedusa (circa 300, in una tra le peggiori tragedie legate alle ‘carrette del mare’ che si ricordi) come a un incidente di percorso, uno spettacolo della disperazione di fronte al quale sentiamo un po’ di commozione ma quasi a comando, per evitare ai nostri stessi occhi la brutta figura di non provare nulla; una commozione comunque di breve durata, perché il nostro tempo e la nostra attenzione si devono rivolgere a mille altre questioni incombenti.

Questa emotività da operetta, in cui cadiamo anche grazie ai servizi strappalacrime dei vari telegiornali, è il perfetto rispecchiamento dell’ipocrisia in cui siamo immersi, sempre pronti a fare la morale agli altri, politici e preti in primo luogo, quasi mai a noi stessi.

Vergogna”, ha mormorato il Papa, quasi incredulo di ciò che usciva dalla sua bocca; ma la parola è stata poi ripetuta, confermata dal pontefice, per un suo intimo convincimento.

Di fronte a questo termine, sillabato a ragion veduta dalla massima autorità morale del pianeta, un po’ di gente dovrebbe cominciare a guardarsi allo specchio, ma non per controllare le rughe o il trucco, bensì per vedere se la coscienza interiore regge all’urto del tempo, alla tentazione di mandare alla deriva gli ideali vissuti in gioventù. Certo gli ultimi nella gerarchia morale sono gli scafisti, criminali senza scrupoli che lucrano sulla disperazione; ma anche tutti coloro – terroristi, ‘chimici’, sequestratori – che inducono la povera gente, inclusi vecchi e bambini, a sradicarsi dalla propria casa, dalla propria terra per inseguire una vaga speranza e promessa.

Ma poi veniamo noi occidentali, capaci di sfornare a catena politicanti inetti, agenti inquinanti dell’ambiente, giovani diplomati e laureati senza arte né parte, e le mille altre contraddizioni della nostra società. Ma il difetto sta nel manico, in una mentalità ancora provinciale e piccina, tipica del resto della storia italica, quella del mors tua vita mea: una spietata competizione quotidiana ci vede ancora impantanati in un materialismo storico che è triste e attualissima eredità del marxismo e nello stesso tempo (per una coincidenza degli opposti) del capitalismo senza regole.