PIACERE, DESIDERIO, VERGOGNA

Tre testi biblici scavalcano i secoli interrogandoci sull’ambivalenza delle passioni e dei sentimenti umani.

SILVIA TERRIBILE, 01.04.2016

TORINO – «Amare è soffrire. Se non si vuol soffrire, non si deve amare. Però allora si soffre di non amare. Pertanto amare è soffrire, non amare è soffrire, e soffrire è soffrire. Essere felice è amare: allora essere felice è soffrire. Ma soffrire ci rende infelici. Pertanto per essere infelici si deve amare. O amare e soffrire. O soffrire per troppa felicità. Io spero che tu prenda appunti». Come dimenticare queste esilaranti battute di “Amore e guerra” (1975) di Woody Allen?

Le ha ricordate anche il laboratorio di narrazione della Rete Italiana di Cultura Popolare, durante un evento curato dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin, il 23 marzo 2016 presso la Sala conferenze del Museo Diffuso della Resistenza di Torino.

Ma a stupirci è il contesto in cui sono state citate, davvero particolare e interessante: una lettura di tre testi biblici, incentrata sui temi di piacere, desiderio e vergogna.

L’approccio ironico e disincantato di Woody Allen, infatti, oltre a strapparci una risata, coglie anche un’indubbia verità: l’inestricabile intreccio tra vita, passioni e amori.

Nel proprio intervento, Alessandro Parola ha sottolineato come l’amore sia, da sempre, parte fondamentale dell’esistenza umana, ed è per questo che il Cantico dei Cantici (V-IV secolo a.C.), il poema d’amore più conosciuto, commentato e tradotto della storia viene percepito più che mai attuale, anche nell’epoca moderna.

Nonostante nella tradizione occidentale la letteralità del testo sia stata rimossa a favore di un’interpretazione mistica e simbolica, si tratta di un poema fortemente erotico, tutto incentrato sul piacere.

Amor sacro e profano non sono, infatti, inevitabilmente in antitesi. L’amore è qui descritto come “Una fiamma di Dio” (Ct 8,6): celebrare l’amore è celebrare Dio.

Tipica del Cantico la reciprocità dell’amore: l’iniziativa dell’amore parte dalla donna, che non è solo oggetto dell’amore, ma soggetto.

Letture che fanno riflettere nel profondo: quando manca la reciprocità, il desiderio può degenerare in perversione del cuore, come nell’episodio di “Susanna e i vecchioni” (Daniele 13, II secolo a.C.), di cui ha parlato Mariapia Donat-Cattin.

Susanna, moglie di Ioakìm, di rara bellezza e timorata di Dio, viene minacciata da due anziani giudici del popolo, “invecchiati nel male”: o si unirà a loro, o verrà accusata di adulterio.

Susanna è guardata non come persona ma come cosa, priva pertanto di dignità e di libertà.

Ma la giovane non cede alle intimidazioni dei vecchioni, e si affida completamente al Signore.

Quando sta per essere condannata a morte, viene salvata da un ragazzo, Daniele – il cui nome, tra l’altro, significa “Dio è mio giudice”- che riesce a smascherare la malvagità e la cupidigia dei vecchi.

Come ha affermato il filosofo contemporaneo Remo Bodei nel suo “Geometria delle Passioni” (1991), le passioni si suddividono essenzialmente in due categorie: gioiose, quelle che accrescono la nostra forza vitale, e tristi.

La passione amorosa appartiene certamente alla sfera delle passioni gioiose, ma può precipitare vertiginosamente e farsi passione triste, quando diventa soddisfazione egoistica, voglia sfrenata, brama di possesso, incapacità di guardare l’altro come persona.

L’ultimo tema affrontato è stato quello della vergognaSimona Borello ha sottolineato come Adamo ed Eva, nel giardino dell’Eden, siano nudi e non provino vergogna (Genesi).
Possono mangiare i frutti di tutti gli alberi del giardino, tranne di quello della conoscenza.

Soffermandosi solo sul divieto, e non su tutto il resto che è dono, compiono il peccato originale, e così arriva la vergogna.

Ma la vergogna è anche un percorso possibile di liberazione: vergognandoci di ciò che abbiamo compiuto in passato, possiamo ritrovare noi stessi.

Letture, dunque, che danno moltissimi spunti di riflessione, in un invito a guardare oltre noi stessi.