ZEROCALCARE INCANTA IL PUBBLICO DEL CECCHI POINT

Il giovane artista romano, ospite del Salone Off 365, si racconta nella sua tappa torinese

ROBERTA MAGNATI 25.03.2015

TORINO – Sembrava capitato per caso al Cecchi Point di Via Cecchi 17 a Torino, Michele Rech, in arte Zerocalcare, ospite mercoledì 11 marzo del Salone Off 365. Un applauso scrosciante di giovani con lo zaino e meno giovani in camicia e cravatta accoglie con calore ed entusiasmo questo ragazzo venuto apposta da Roma per presentare “Dimentica il mio nome” , l’ultimo di una serie di libri che dal 2011, anno de “La profezia dell’armadillo”, gli sta facendo riscuotere un successo davvero inaspettato.

Con quest’ultima pubblicazione, che si discosta molto da quelle precedenti, Zerocalcare ha raggiunto una profonda maturità sia nei contenuti sia nello stile, ma anche interiormente, riuscendo ad accettare l’idea di vivere disegnando fumetti: «Sempre mejo che lavora’», dice ridendo, poi si corregge «lavorare, mia madre dice che parlo troppo romano».

«Sicuramente ha cambiato la percezione di me stesso l’idea di non dipendere economicamente da nessuno» spiega il giovane artista, «quando si è adolescenti si fatica a percepirsi adulti e autonomi finché non si è in grado di provvedere a se stessi». Pur vivendo da solo da otto anni, infatti, soltanto da pochi mesi i fumetti sono diventati per lui un lavoro a tutti gli effetti, una professione vera.

Ciò che stupisce è la grande umiltà con cui Michele sta accogliendo il successo: «A quattordici anni non mi sarei mai aspettato una fortuna come quella che sto vivendo ora. Purtroppo ho vissuto molte cose con travaglio, con angoscia; forse, se fossi stato un’altra persona, una persona più serena, le avrei godute di più», confida il fumettista.

E’ uno Zerocalcare cresciuto anche grazie alle vere batoste della vita, quello che ad occhi bassi sta iniziando a raccontarsi a questa folla che lo ascolta quasi commossa: «Sono cresciuto anche grazie agli schiaffi veri della vita, non solo figurati. Il G8 di Genova ha segnato profondamente il mio percorso di fumettista. Da lì ho capito la necessità di disegnare strisce per diffondere dei messaggi», racconta timidamente.

La sua passione per il disegno, infatti, lo accompagna sin dall’infanzia: «Disegnavo dinosauri, Topolino e Paperino, ma se qualcuno avesse osato guardare i miei disegni gli avrei strappato gli occhi. Li coprivo con il braccio per non farli vedere nemmeno a mia madre”, dice sorridendo.

«Il bisogno narrativo è venuto dopo il G8 di Genova, sono tornato e avevo bisogno di raccontare a qualcuno quella storia, non per esorcizzarla, ma per farla circolare. La mia prima storia è quella”. La sua esperienza autobiografica e la storia della sua famiglia sono sempre centrali nei suoi fumetti e, in particolare, riguardo a “Dimentica il mio nome ha promesso a sua madre di non rivelare mai le parti vere e le parti false del libro.

Continua Michele: «Se io sfoglio La profezia dell’armadillooggi, lo sento molto mio, ma fotografa un momento della mia vita diverso da ora. Io ho creato quei personaggi e mi ci sono affezionato, lasciando cristallizzare i loro ruoli nel tempo, ma le persone intorno a me sono cambiate, tutto è cambiato:ad esempio mia madre non è più solo la persona su cui contavo come sei anni fa, il nostro rapporto è diventato più articolato, più intenso» prosegue con voce roca «Io ho bisogno di svuotare la cache dei miei fumetti e riaggiornare i personaggi a quel che sono diventati. In tantissime interviste ho detto, senza capirne davvero il senso, che “Dimentica il mio nome era la fine di un ciclo, forse quello che volevo dire è che mi ha fatto comprendere che devo aggiornare il mio mondo a quello che sono adesso».

La memoria per Zerocalcare coincide con l’esigenza di non perdere i pezzi di ciò che ha vissuto, di fissare il ricordo delle persone scomparse: «Ho paura che tra quindici anni magari non mi ricorderò più di loro», precisa Michele, «quasi fossero meteore che attraversano la mia vita e poi spariscono come se non fossero mai esistite.». La memoria è anche un concetto fondamentale per la comunità politica da cui il fumettista proviene, sebbene sia restio a parlare di politica e del suo legame con i centri sociali e ne spiega il perché: «L’autoironia mi riesce benissimo, ma fatico a prendermi gioco con altrettanta naturalezza delle contraddizioni che avverto nella mia comunità» prosegue «La politica la fanno i gruppi, non i singoli, e mi va bene che le due cose restino separate, la mia produzione parla di me ed è su questo che voglio concentrarmi ».

Tra una domanda e l’altra Michele si scusa per la sua timidezza, che definisce patologica, al punto che se dovesse incarnarsi in uno dei suoi celebri animali sarebbe un armadillo, perché la corazza rappresenta bene il suo carattere un po’ chiuso e schivo.

Il giovane artista prosegue raccontando la sua esperienza a Kobane: « Non sono andato in Kurdistan per scrivere un reportage a fumetti, ma per partecipare a una campagna di solidarietà per la popolazione del Rojava. L’idea di un servizio a fumetti per “L’Internazionale” è venuta dopo. Il legame con la questione curda è nato nel 1998 quando Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), chiese asilo politico a Roma e i centri sociali a cui mi stavo avvicinando in quel momento si mobilitarono per l’accoglienza dei profughi curdi» prosegue il fumettista romano «Ho iniziato a raccontare, cercando di superare i pregiudizi del mondo occidentale e cercando di dare spazio anche all’importanza del ruolo delle donne in quel contesto di guerriglia».

Le domande sono tantissime, il tempo stringe. Michele Rech racconta la nascita del suo blog, e ringrazia il fumettista e blogger Makkox (alias Marco Dambrosio) che lo ha lanciato sia sulla sua rivista“Canemucco” sia, in seguito, sul web.

«Pubblicare vignette su Internet ha dei pregi, come l’assenza di mediazione nonché di scadenze, ma il cartaceo rimane per me una grande responsabilità», spiega Michele «Una persona paga dei soldi e io mi impegno perché sia soddisfatta dei soldi che ha speso. Non devo farla contenta, ma impegnarmi e creare qualcosa che sia valido. Il fumetto in Italia è ancora considerato un passatempo povero, da edicola o tascabili, non un oggetto privilegiato: questo non aiuta la percezione del fumetto come di una cosa da valorizzare culturalmente» prosegue il giovane artista «Il fatto di avere alle spalle una casa editrice aiuta, perché il fumetto è, nella maggior parte dei casi, “un hobby per ricchi e per invasati” difficilmente riconducibile a una professione che permetta di mantenersi, cosa che purtroppo non favorisce la capacità creativa».

«Per imparare a fare fumetti, ciò che serve davvero è “farli farli farli, leggerne e copiarne un sacco, e poi farli farli farli» dice sorridendo Michele, che confida anche di scrivere nelle bozze del cellulare tutto quello che gli viene in mente durante il giorno: «Porto anche il cellulare in doccia, e se mi viene in mente qualcosa lo scrivo subito, perché altrimenti nel tempo che esco dalla doccia me ne son dimenticato…» e aggiunge «periodicamente trasferisco questi appunti su una apposita bozza nelle mail; quando devo pubblicare una vignetta nel blog attingo da questa raccolta di idee, poi butto giù una scaletta, la storyboard e, solo infine, prendo matita e inchiostro».

Prima di andare Zerocalcare accenna scherzosamente qualcosa a proposito della realizzazione del film su “La profezia dell’Armadillo”, attualmente in pre-produzione in collaborazione con Valerio Mastandrea: «Sono esattamente nella condizione ideale, quella in cui mi pagano la sceneggiatura e poi il film si blocca lì, così nessuno mi viene a dire che il film è meno bello del fumetto».

L’incontro è ormai concluso, ma ad attenderlo per il firma copie ci sono 300 persone; dopo 4 ore di dediche, disegni e citazioni, Michele lascia sorridente il Cecchi Point salutando la location con una dedica personalizzata in cui si scusa per l’ora tarda.

Ma siamo noi a volerti dire “grazie Michele”, per la tua generosità e disponibilità.