“ADESSO ABBRACCIAMI, BRASILE!”

Presentato a “Libri in Luce” l’avvincente romanzo di Darwin Pastorin: racconta il bel Paese del Samba tra calcio e vita vissuta

Giovanni Castellano, 15.12.2014                                                FOTOGALLERY

ALPIGNANO (TO)Dal 5 all’8 dicembre l’ecomuseo Cruto ha ospitato la prima edizione del Salone del Libro di Alpignano. La mostra, denominata Libri in Luce, Storie da Leggere, Storie da Raccontare, è stata promossa dal Comune di Alpignano e organizzata da Lettera Ventitré. La quattro giorni alpignanese, con oltre 5mila volumi esposti, ha ospitato diversi noti scrittori che hanno presentato le loro novità letterarie.

Tra questi, il giornalista sportivo italo-brasiliano Darwin Pastorin che ha parlato del suo libro “Adesso Abbracciami, Brasile!”, dialogando con il Sindaco di Alpignano Gianni Da Ronco. Moderatore d’eccezione Salvo Anzaldi, docente di “Tecniche del linguaggio giornalistico” all’Università del Piemonte Orientale.

Pastorin, già direttore della redazione sportiva di Tele+ ed oggi a capo dell’emittente piemontese Quartarete, in questo romanzo autobiografico racconta la storia del suo amore verso il Paese natale, il Brasile. Un racconto fatto di sogni, sofferenza, speranza e, inevitabilmente, calcio.

«O futebol per i carioca è più che una passione, quasi un rito pagano.– afferma Pastorin mentre spiega quanto il calcio abbia influito sulla società brasiliana. – Era il 1950. Nell’ultimo atto del Mondiale casalingo la Seleção, con una storica sconfitta allo stadio Maracanã di Rio de Janeiro, consegnò la Coppa Rimet nelle mani dei rivali dell’Uruguay. Il Brasile all’epoca era una nazione estremamente povera eil calcio rappresentava l’unica fonte di svago e di speranza per il popolo». Pastorin racconta che, a seguito di quella partita, Moacir Barbosa, l’allora portiere della Nazionale, per la sola colpa di aver subito due gol, ma in realtà anche per il colore della pelle, venne emarginato per sempre dalla società. Il Maracanazo, com’è stata ribattezzata la maledetta finale, portò addirittura diversi tifosi al suicidio.

Rischiava di sortire gli stessi effetti catastrofici  il roboante 1-7 con cui la scorsa estate i tedeschi (poi diventati campioni) hanno estromesso i verdeoro dall’ultima Coppa del Mondo giocata in casa. Fortunatamente, però, la società brasiliana con il passare degli anni si è trasformata: ora le condizioni medie di vita in Brasile sono notevolmente  migliorate e i cittadini, in modo razionale, hanno imparato a distinguere una vera tragedia da una sconfitta in una partita di calcio. Così nel 2014 l’ultima disfatta carioca allo stadio Mineirão di Belo Horizonte, pur suscitando molta delusione nei tifosi, è stata assorbita soprattutto con sportività e ironia – si sprecano sul web le battute e i giochi di parole sull’argomento.

L’avvincente libro di Darwin Pastorin “Adesso abbracciami, Brasile!” vuole essere anche una testimonianza di pacifica convivenza tra popoli. «Il razzismo è la cosa più stupida del mondo» afferma l’autore ricordando la sua infanzia brasiliana, quando viveva nella multietnica città di São Paulo giocando a pallone con compagni provenienti da ogni parte del mondo.

La storia del Brasile passa spesso dal calcio. Uno sport, certo, ma anche un fenomeno sociale di rilevante importanza.

Pastorin, nel suo intervento al Salone del Libro di Alpignano, definisce «bell’esempio di democrazia» le proteste popolari contro la FIFA per il Mondiale di Brasile 2014 perchè «il popolo ha avuto la possibilità di dire la sua. Il tutto è stato trasmesso dalle televisioni e scritto sui giornali. Diversamente da ciò che era accaduto a Buenos Aires nel ’78, quando le proteste durante i Mondiali di Argentina erano state duramente represse e censurate dal regime di Videla. Ma quella era la triste epoca dei ‘desaparecidos’».

Darwin Pastorin conclude la sua presentazione raccontando l’emblematica esperienza, proprio durante gli anni delle dittature sudamericane, di una squadra brasiliana: il Corinthians del dottor Sócrates. «Nel 1982 -racconta – in un Brasile sotto regime militare, i giocatori del ‘Timão(“lo squadrone”),reduci da una stagione non brillante, adottarono un cambiamento radicale.  La decisioni in merito a formazione, allenamenti e ritiri non dovevano essere più prese dall’allenatore o dal presidente, ma dai calciatori stessi. Era l’inizio della Democracia Corinthiana». Fa effetto pensare, in un contesto di dittatura, a una squadra che scende in campo con la scritta “Democrazia” stampata sulle maglie. Ma negli anni ’80 il Corinthians non era una squadra come le altre. L’influenza sul popolo brasiliano fu enorme. Pochi anni dopo l’inizio dell’autogestione della compagine paulista si scatenarono diversi movimenti di piazza, che nel 1985 riportarono la repubblica in Brasile. Sócrates, calciatore geniale e ideatore principale della Democracia Corinthiana, è stato anni dopo riconosciuto dal Presidente Lula come padre della Patria. Perché con Sócrates la bianconera di São Paulo, la squadra più amata e odiata di tutto il Brasile, ha avuto il coraggio di osare, di sfidare il sistema. E il Corinthians di quegli anni ha vinto. Ha vinto tanto.

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Fotogallery di Carlo Cretella

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