AVERE CURA E’ ARTE DI AMARE

La parabola di Mt. 21, 33-43 racconta con toni truculenti e ultimativi: bastonate, uccisioni, disprezzo e, in conclusione, dichiara che “il Regno sarà tolto e dato ad un popolo che ne produca frutti”.

Limito la mia riflessione alla prima parte della parabola che racconta la cura con cui il Padrone custodisce e circonda la sua vigna, la vigna che Egli ama.

La lettura richiama, nella mia memoria, L’arte di amare: un libro edito nel 1956, che ha segnato la mia formazione fin dagli anni giovanili. L’arte di amare, dice E. Fromm nel testo, qualifica l’arte del vivere. Quando poi l’autore disegna la mappa di quell’arte, scrive: “Al di là dell’elemento del dare, il carattere attivo dell’amore diviene evidente nel fatto che si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme dell’amore. Questi sono: la premura, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza”. (E. Fromm, L’arte di amare, Il saggiatore, 1976, p. 41)

Quanto io indico con la parola “cura”, corrisponde alla “premura” menzionata nel testo, cioè all’ “interesse attivo per la vita e la crescita di chi e di ciò che amiamo… Se una donna ci dicesse di amare i fiori e noi la vedessimo disinteressarsi di innaffiarli, non crederemmo nel suo amore dichiarato”. (ibidem)

La vigna, bene prezioso, è, nel testo, simbolo riferibile alla famiglia, ad un popolo, alla Chiesa e all’intero mondo creato. Essa merita dal padrone e da chi la lavora la cura-premura che la madre ha per il suo bambino.

La cura tradita è quanto di peggio può toccare a una realtà vivente a noi affidata. Nella parabola i capi dei sacerdoti e gli anziani commettono il più grave crimine, spinti, nella sequenza dei fatti, fino all’uccisione dei servi e del figlio, perché occupano lo spazio esistenziale a loro affidato in termini di dominio e di sfruttamento. “C’è un modo, disperato, per conoscere il segreto di ciò che ci è affidato; è quello del completo potere su un’altra persona; il potere che le fa fare quello che noi vogliamo e la trasforma in un oggetto di nostra proprietà. L’ultimo grado di questo tentativo di conoscere confina col sadismo, il bisogno e la capacità di far soffrire un essere umano, di forzarlo a tradire il suo segreto, soffrendo. In questo desiderio sta una smania di crudeltà e di distruzione”. (Ibidem, p. 45) Alla cura viene sovrapposto il possesso, alla premura lo sfruttamento. Triste allusione della parabola a quanto oggi sovente avviene nelle relazioni umane uomo-donna, genitori-figli, ecclesiastici-chiesa, capi politici e popolo.

Per attivare la cura premurosa di quanto a noi è affidato, occorre fare agire in noi stessi il senso di responsabilità. Essere responsabili significa sapere e volere dare risposta, per quanto ci è possibile, a quanto le realtà a noi affidate richiedono, sulla traccia di un doppio sguardo. Uno sguardo, per così dire, all’indietro, che obbliga all’interesse e allo studio della storia vitale delle persone e delle realtà, perché esse, nell’oggi, sono il punto di arrivo e di sintesi degli eventi cresciuti in esse, uno studio della loro tradizione. La tradizione che alimenta la storia dei singoli e dei gruppi sociali è messa a fuoco dalla loro identità, anche se tale tradizione è spesso latente sotto la cenere.

Lo sguardo in avanti vuole cogliere il costante e perenne rinnovarsi di persone e realtà, abilitando in noi la capacità creativa di rispondere a loro esigenze e problemi.

L’arte di amare, che qualifica il nostro mestiere di vivere, è arte impegnativa, difficile, ma l’unica capace di attivare quell’amore che la parola di Gesù così qualifica: “non c’è amore più grande di colui che dà la vita per chi ama”. Questa è, di fatto, la cura-premura che fa crescere la vita in tutto quello che a noi è affidato. Vale la pena di ripeterlo a noi ogni giorno: di tutto siamo custodi e creatori. E se ci prendesse lo scoramento di fronte al diffuso disimpegno delle persone che abbiamo accanto, valga il tweet del Papa: “Se ti prende l’amarezza, credi in tutte le persone che operano per il bene: nella loro umiltà c’è un seme di un mondo nuovo” (8 ottobre 2017).

 Don Renzo

Domenica 8 ottobre 2017