DOMENICO QUIRICO SI RACCONTA

Riflessioni sul giornalismo e sulla sua carriera nel nuovo docufilm “Ombre dal fondo”

Federico Rudian 15.11.2016

TORINO“Il giornalismo sta cambiando”, e non ci poteva essere occasione migliore per trattare il tema dell’anteprima torinese, il 13 novembre scorso, di Ombre dal fondo (71’, Frenesy Film, 2016), il documentario di Paola Piacenza su Domenico Quirico, reporter e caposervizi esteri per il quotidiano La Stampa. Presentato fuori concorso alla 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film è una produzione firmata Frenesy Film, in collaborazione con Rai Cinema e Deneb Media, e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund.

In Sala Uno del Cinema Massimo di Torino, a cui si accedeva con ingresso libero fino ad esaurimento dei 150 posti disponibili, anche Quirico e il cast tecnico: il produttore Luca Guadagnino, il produttore esecutivo Luca Mosso, il direttore della fotografia Ugo Carlevaro.

Il giornalista, nell’incontro con il pubblico prima della proiezione, ha raccontato la sua prima volta di fronte alla telecamera, dove ripercorre il suo rapporto con il lavoro e il rapimento in Siria, durato 152 giorni, e ha sottolineato come la pellicola sia un’introspezione di se stesso e della sua professione.

La modalità in cui è stato girato il documentario, sotto forma di intervista con Paola Piacenza, accompagnata dalle immagini dell’esperienza sul campo, è nata da un’idea innovativa della regista stessa, che a settembre del 2013 sentiva la necessità di parlare dell’evoluzione del mestiere del giornalista. Destino volle che, proprio l’8 settembre 2013, dopo cinque mesi di sequestro, grazie anche all’intervento dello stato italiano, l’inviato di guerra Domenico Quirico veniva liberato e riportato a casa.

Dopo un primo contatto, la Piacenza capì che voleva portare questa storia sul grande schermo in modo innovativo. Non lo voleva infatti fare come semplice resoconto dei fatti, non voleva limitarsi a quello, perché, “non è solo una questione di nuove tecnologie, ma anche di percezione della notizia e della volontà di raccontarla in un modo piuttosto che in un altro”. È nata così l’idea di un’intervista tra i due, in cui la voce della donna, come lei stessa ha spiegato, “è una presenza discreta: il racconto non è un soliloquio, è un dialogo, come è sempre stato il lavoro con il giornalista”.

“C’era qualcosa di molto potente nel rapporto tra Paola e Domenico e nel modo in cui si traduceva nell’immagine e nell’intervista”, ha fatto notare Guadagnino, parlando della dinamicità della coppia e della possibilità di apprezzare l’intervista dal grande schermo. Lo ha confermato anche Mosso, che dall’intervista ha “visto subito il film” e ha potuto apprezzare la maturazione della consapevolezza della regista nel rapporto con l’intervistato.

La parola è poi tornata al protagonista indiscusso del documentario, che ha un passato come corrispondente da Parigi, e che ha stabilito subito un rapporto diretto con il gremito pubblico, catturandone l’attenzione nel momento in cui ha confessato come, dopo il rapimento, qualcosa “si è spezzato” nella sua capacità di rapportarsi alle storie da riportare. Ombre dal fondo, per lui, è  la storia di una doppia delusione: “Come giornalista, di categoria, quella dell’impossibilità del giornalismo contemporaneo di mobilitare le coscienze, e la mia, personale, legata all’impossibilità di fare questo mestiere e alla constatazione della fine del mio rapporto con questo lavoro”.

Il silenzio è stato un altro tema importante trattato insieme a Carlevaro, ovvero la necessità di non alterare il luogo di racconto con le telecamere, davanti alle quali la gente, inconsciamente, recita. “L’idea era di essere invisibili,- ha affermato il direttore della fotografia- più di una volta ci siamo trovati scomparire”.

La serata si è conclusa con la proiezione del film, un potente documentario gestito in maniera perfetta dalla regista in un’alternanza di parole e immagini, e impreziosito dalle magnetiche riflessioni personali di Domenico Quirico, in quello che è stato un viaggio partito dal “chiuso di una stanza”, passato dal fronte russo-ucraino e conclusosi nel luogo“dove tutto è cominciato e tutto è finito”, la Siria della prigionia, perché “il ritorno non è a casa, il ritorno è lì”.

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