DON LORENZO MILANI: CINQUANT’ANNI DI PROFEZIA

L’attualità del messaggio del prete di Barbiana

Luisa Zhou, 12.07.2017       FOTOGALLERY

TORINO«Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose », scriveva don Lorenzo Milani in Lettera a una professoressa (1967), insieme agli allievi della scuola di Barbiana, sottolineando ancora una volta l’importanza dell’istruzione come strumento di dignità.

Don Milani: maestro, sacerdote, cittadino.

All’interno della cornice del Polo del ‘900, venerdì 30 giugno, a pochi giorni dall’anniversario della morte, vengono ricordati infatti i cosiddetti “cinquant’anni di profezia” di un uomo il cui nome risuona ancora fra le corde dell’attualità.

Una vita dedicata alla lotta socialeper permettere anche ai più umili, agli “ultimi” di avere uguali opportunità e conoscenze.

L’incontro, organizzato dalla Fondazione Donat-Cattin e tenutosi nella Sala Novecento di Palazzo San Daniele, ospita fra i suoi relatori Francuccio Gesualdi, allievo di don Milani, Andrea Bonsignori, direttore della Scuola Cottolengo, Marco Ghiazza, assistente centrale dell’Azione Cattolica Ragazzi, e Alessandro Svaluto Ferro, vice direttore Pastorale Sociale e del Lavoro.

Moderatore dell’evento Domenico Agasso Jr, vaticanista per La Stampa.

La serata si apre con le letture di Eleni Molos, accompagnata dal violino di Nabil Hamai, ripercorrendo mano a mano scorci di vita del priore di Barbiana, nato a Firenze nel 1923 in una famiglia particolarmente agiata e istruita.

Sono gli anni del privilegio, il “tempo tenebroso” nel quale Lorenzo Milani viveva, prima che qualcuno gli facesse notare che «non si viene a mangiare pane bianco fra le strade dei poveri».

La consapevolezza della miseria del mondo, delle difficoltà sociali delle classi più oppresse, lo porta a convertirsi al termine di un’intensa ricerca spirituale.

Tuttavia, «la Chiesa punisce i suoi pastori quando questi difendono i poveri parlando male dei ricchi », ricorda Gesualdi.

Nel 1954, infatti, don Milani viene “esiliato” dal cardinale di Firenze a Barbiana, un minuscolo borgo sui monti nel comune di Vicchio, in Mugello. La sua unica colpa: aver creduto nei diritti dell’uomo e aver difeso il mondo operaio dalla connivenza dei potenti.

Ma è proprio in quel luogo abitato da poco più di 40 anime, senza luce, acqua e strade, che il priore compie il più grande dei suoi progetti.

«La sua crociata è stata quella di ridare dignità agli abusati.Si chiedeva spesso cosa potesse fare a proposito, ma alla fine capì che doveva fare scuola », spiega allora il suo allievo « L’ignoranza è madre di tutte le miserie, lo sapeva da sempre, anche quando era ancora benestante ».

E così il priore di Barbiana si impegna a far cambiare volto alla scuola, che allora comprendeva un’unica pluriclasse con un’unica maestra. Una scuola classista che, come uno strano ospedale, “curava i sani e respingeva i malati”. Per don Milani un’istituzione simile andava denunciata, per far posto ad una scuola che avesse come obiettivo quello di permettere ai ragazzi di “sapere”.

Una scuola a tempo pieno, 365 giorni su 365.

Era importante « calare la scuola dentro la dimensione sociale », dal momento che studiare era un privilegio e bisognava sfruttarlo fino alla fine. Altro elemento caratteristico dell’educazione nata a Barbiana era la dicotomia testa-mani. Gli studenti, infatti, si costruivano da sé i tavoli, i banchi, le lavagne – per questo era una scuola viva e l’apprendimento un’attività dinamica, sempre pronta a fornire nuovi strumenti di lettura del mondo.

« L’istruzione deve insegnare il senso critico, anche nei confronti della legge, per migliorarci continuamente »,sostiene Gesualdi, perché le persone padroni della realtà sono persone dignitose.

Ma per raggiungere questa dignità, «la scuola non deve fare la differenza. Di fronte all’uguaglianza vengono meno le difficoltà».

Queste le parole del direttore del Cottolengo che, come l’allievo di don Milani, mette in discussione il termine “profezia”. « Accogliere, aiutare gli ultimi non è un atto di carità, ma un diritto.Non è profezia, ma lotta sociale reale. È il diritto dei più deboli».

Un diritto che il prete di Barbiana conosceva bene, nella sua aperta presa di posizione a favore dei più poveri. Come dichiara anche Svaluto Ferro, per don Milani « la povertà non è solo responsabilità o colpa personale, ma un problema sociale intimamente connesso alla lotta per la giustizia ».

L’attualità del suo messaggio si traduce così in una continua ricerca delle cause dei problemi che portano tuttora a separare i più ricchi dai più umili, ma soprattutto delle possibili risposte da dare.

Un’umanità più umana e, al contempo, una capacità di analisi sempre più grande.

« Don Milani guardava la realtà non con l’intento di incasellarla negli schemi ecclesiastici, ma così com’era. La Chiesa non è al centro di tutto »,ricorda allora il signor Ghiazza, facendo in un certo senso eco alle parole del priore stesso in Esperienze pastorali (1958): «Quando ci si affanna a cercar apposta l’occasione di infilar la fede nei discorsi, si mostra di averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece il modo di vivere e di pensare ».

Ecco dunque l’importanza del senso critico, della “disobbedienza”, del ragionare con la propria testa.

Come sostiene Papa Francesco, «siamo chiamati a formare le coscienze, non a sostituirle ».

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Fotogallery di Carlo Cretella

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