IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

L’Amore Cristiano

Editoriale di Davide Ghezzo – 12 Gennaio 2014

In una delle sue preziose omelie a Santa Marta, il Papa ribadisce la centralità dell’amore nella vita quotidiana del buon cristiano. Ma subito richiama i fedeli più superficiali: non si parla dell’amore delle telenovelas, fatto di belle parole e sguardi adoranti ma incapace di sacrifici profondi, di mettere da parte l’ego a vantaggio della persona che si dice di amare.

L’amore della telenovela, insomma l’amore televisivo e del gossip è in larga misura fatto di illusioni, di inganni, di abbagli. In un modo simile si ingannarono gli Apostoli, ricorda il pontefice, quando videro Gesù camminare sulle acque: credevano che fosse un fantasma. Ma questo è l’amore di chi è duro di cuore, di chi non ha capito il messaggio di Cristo. Si finisce allora per ‘figurarsi cose’, ovvero crearsi delle immagini, delle icone da mettere sul nostro altare interiore, dimenticando che l’Amore cristiano è concreto: dar da mangiare agli affamati, visitare carcerati e infermi…

Di fatto gli Apostoli non avevano capito il senso del recente miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci; non accettavano che al centro della predicazione di Gesù ci fosse altro dalle parole, cioè proprio l’aiuto concreto, materiale, dettagliato, del nostro prossimo, del nostro vicino in difficoltà.

Occorre allora, per noi moderni spesso increduli di fronte al miracolo, restare col cuore aperto, disponibile, perché solo così Dio rimane in noi, e noi in Lui.

E solo così – ribadisce papa Francesco, in un ulteriore intervento sempre a Santa Marta – possiamo conservare e alimentare la fede, non quella tiepida e incerta di troppi cristiani per modo di dire, ma la professione completa, un Credo che venga dal cuore. Arriveremo allora alla lode e all’adorazione di Dio, che è molto più del semplice binomio chiedere-ringraziare. Se il termometro della vita della Chiesa segna valori così bassi – manca la febbre dell’apostolato, lo zelo missionario, la dedizione anima e corpo che sarebbe necessaria in tempi difficili per ogni tipo di istituzione – è perché si è persa la capacità di adorare Dio. Solo quest’ultima, ricorda Bergoglio, nutre appieno il sentimento della speranza, ovvero la seconda virtù teologale, quella che ci scalda il cuore con la prospettiva del premio oltremondano e ci spinge ad agire, a rendere operativa la terza virtù, la carità.

Dove trovare allora, in questo mondo secolarizzato e idolatra, il buon esempio da seguire, il modello per il sentimento di adorazione spirituale? Non c’è che una risposta: bisogna guardare alle comunità monastiche. Gruppi religiosi, maschili e femminili, magari ridotti all’osso nel numero, ma ancora capaci di coltivare quel senso della preghiera, del ritiro, della concentrazione mistica necessari a raggiungere l’esperienza del divino.

Si tratta di una strada difficile, ovviamente legata a una scelta individuale, che ha da essere profondamente meditata se non sofferta; ma l’uomo del secolo, il laico e perché no l’agnostico, guardandosi attorno nella ricerca di punti di riferimento ideali, non possono non guardare all’esperienza della fraternità religiosa, di un cammino che vede davanti a sé delle tappe e una meta precisa, non ondivaga e cangiante come troppo spesso capita a chi insegue soddisfazioni troppo e solo terrene