IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

La Missione dei Gesuiti

Editoriale di Davide Ghezzo – 5 Gennaio 2014

In nome di uno spirito di corpo che è caratteristica umana e condivisibile, Papa Francesco, parlando ai confratelli gesuiti riuniti nella Chiesa del Santissimo Salvatore – in occasione della celebrazione solenne del S.mo Nome di Gesù, il 3 gennaioha ricordato la figura di Pietro Favre, primo sacerdote gesuita, da Lui canonizzato nel giorno del Suo 77° compleanno, il 17 dicembre 2013.

Favre nasce da umile famiglia il 13 Aprile 1506  in un villaggio della Savoia nella diocesi di Annecy. Compagno di studi e ritiri spirituali di Ignazio di Loyola, fu tra i sei fondatori della Compagnia di Gesù, avvenuta nella chiesa di Montmartre nel 1534. Su incarico di Papa Paolo III, tenne la cattedra di teologia all’Università La Sapienza; viaggiò in tutta Europa, ma non in Terrasanta dove intendeva recarsi, dissuaso a farlo dalla guerra tra Venezia e i Turchi. Morì  a Roma il 1° Agosto 1546 alla vigilia del Concilio di Trento, cui avrebbe partecipato come teologo di primo piano.

Di questo protagonista della storia della Compagnia di Gesù il Papa ha sottolineato l’irrequietezza dello spirito, e insieme la forza nel prendere decisioni determinanti per il cammino lungo la via della fede. Come Pietro Favre, così i gesuiti odierni sono chiamati a coltivare la propria tensione interiore, i propri slanci e ideali spirituali. In mancanza di tensione, nota Bergoglio, siamo sterili ovvero incapaci di dare frutto, di creare nuove conversioni e vocazioni.

Il cuore di un gesuita (osservazione che Papa Francesco rivolge a se stesso e ai confratelli, ma è estendibile a tutte le persone anche laiche minimamente impegnate a favore della Chiesa) dev’essere un cuore che si svuota, il cuore di una persona che non vive centrata su se stessa, ma su Dio e sul messaggio ch’Egli ci ha inviato per tramite del proprio Figlio, su quel Vangelo che va annunciato con dolcezza e non con ‘bastonate inquisitorie’ (con questo sintagma il Papa fa implicitamente ammenda delle colpe storiche della Compagnia di Gesù, al tempo dell’Inquisizione romana e spagnola). L’uomo svuotato di sé, del proprio orgoglio, vede davanti a sé un orizzonte luminoso, quello della gloria di Dio, che continuamente si estende, sorprendendoci.

Il dono del proprio cuore va poi rivolto alla comunità cristiana nel suo insieme, ma specialmente ai giovani. Così Bergoglio rivolgendosi all’Unione dei superiori generali – l’incontro è avvenuto il 29 novembre, ma solo ora ne esce la redazione completa. Chi lavora coi giovani, nelle parrocchie, nei seminari, negli oratori, non può più rivolgersi loro nella forma ordinata e strutturata di un bel discorso teologico e accademico. Questo modo di porsi, ormai, ‘scivola addosso’ ai giovani, ed è dunque necessario un nuovo linguaggio, che tuttavia non rinunci alla profezia del Regno, la promessa di felicità offertaci da Cristo, che è il lievito capace di avvicinare nuove persone, nuovi cuori, nuove menti alla dimensione religiosa cattolica.

Il carisma, dunque, ‘non è una bottiglia d’acqua distillata’, ma va vissuto sempre con energia, e riletto anche culturalmente. E su questo punto Papa Francesco riprende le redini di uno dei suoi cavalli di battaglia, ovvero l’assunzione di un punto di vista periferico, che permette di evitare posizioni ideologiche o fondamentaliste, di un centralismo che sa di salotto, e dà al contrario una visione più corretta e complessiva della realtà storico-culturale.

Il Papa chiama allora i religiosi, a partire dai gesuiti, a vivere con coraggio la vocazione, accettando la fratellanza anche quando scomoda, e rinunciando all’idea della vita religiosa come forma di consolazione e di rifugio da un mondo difficile e complesso. Ogni sacerdote è chiamato a un forte impegno sociale e pubblico, proprio perché l’annuncio che egli ha in animo di offrire è quanto di più elevato, di più profondamente umano si possa proporre alla gente disorientata, sofferente, alienata  che popola questo tempo e questo spazio.