IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

Le Grazie Della Morte

Editoriale di Davide Ghezzo – 9 Febbraio 2014

Nell’omelia del venerdì in Santa Marta il Papa non si sottrae al tema che è un tabù per il mondo laico e scristianizzato, e che andrebbe invece affrontato con lucidità e fermezza da tutti gli uomini, al di là delle credenze religiose o filosofiche di ognuno: la morte.

Di fronte al passo che attende ciascuno di noi, esistono certo atteggiamenti diversi, ma è difficile trovarne uno più confortevole di quello cristiano. Infatti se l’ateo vede davanti a sé il “nulla eterno” di foscoliana memoria, e l’agnostico un salto nel buio pauroso e profondo quanto la propria ignoranza in materia, il credente in Cristo, pur in un momento che è un confronto e una sfida per tutti gli esseri umani, attinge a una speranza profonda, vive quasi in un’attesa fiduciosa della ricompensa che lo attende nel mondo altro in cui vivono tutti coloro che sono ‘morti’.

Il riferimento di Papa Francesco è stavolta Davide, il sovrano del popolo ebraico che muore “in seno al suo popolo”, in piena appartenenza alla Chiesa di Dio. La vicenda storica del re Davide è quella di un personaggio vitale e contraddittorio, guida politica, militare ma soprattutto spirituale del popolo eletto, e insieme peccatore in vari momenti e circostanze della sua vita. Ma nonostante il peccato Davide ha la forza di restare in seno alla Chiesa, pentendosi umilmente del male commesso; peccatore sì, mille volte come tutti noi, ricorda il Papa, ma traditore e corrotto no!

Ecco allora le tre grazie che l’uomo in predicato di abbracciare sorella morte ha da chiedere nella sua preghiera all’Altissimo: morire nella Chiesa, morire nella speranza, morire lasciando un’eredità cristiana.

La prima di queste opzioni ha il senso del decesso in casa propria, circondati dalle persone care, da tutti coloro che ci accettano nonostante il male e i peccati commessi, inevitabili nell’essere umano, ma compensati dalla buona volontà e dallo slancio con cui abbiamo compiuto il bene.

La seconda è quasi conseguenza della prima: è come dire che la casa e la famiglia hanno continuità, anzi addirittura eternità; ma questa speranza che è certezza, non matematica ma del cuore, va alimentata giorno per giorno, attraverso l’abitudine di affidarsi al Signore non solo di fronte ai grandi problemi della vita, ma fin nella piccole cose, nelle beghe della quotidianità. Questo colloquio costante, spontaneo con Dio è naturalmente un antidoto di fronte alla tentazione – dettata da forze ostili al progetto benigno del Creatore – del nulla, della disperazione umana.

La terza istanza che l’uomo posto sulla soglia d’uscita della sua vita terrena dovrebbe rivolgere al proprio cuore, in quanto sede del divino, è quella del lascito di un’eredità agli uomini che restano. Beninteso non si parla di denaro, terreni, case, o altri beni materialmente misurabili, quelli capaci di scatenare lotte vergognose negli eredi bramosi di ricchezza; ma di un’eredità spirituale, della capacità di donarsi, di dare la propria vita, e la saggezza, a persone che potranno ben chiamare madre o padre l’essere umano che ci sta lasciando per altri lidi.

In questo senso, naturalmente, il cristiano può guardare alla vita dei Santi, coloro che hanno vissuto con pienezza il Vangelo, e che servono di stimolo a tutti noi, illuminando il nostro cammino e confortandoci col loro esempio in tutti i momenti di incertezza e smarrimento.