LA STRAORDINARIA IMPORTANZA DEGLI AFFETTI NELL’AFFRONTARE LA MALATTIA

Nella quarta puntata della docu-serie di RaiTre “I Ragazzi del Bambino Gesù” la famiglia al centro del processo di cura

Giulia Poggio, 13.03.2017

TORINO – L’11 Febbraio, in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale del Malato, Papa Francesco ha invitato i fedeli ad accudire i malati di tutto il mondo con affetto e preghiere, come vocazione autentica della carità e della misericordia cristiana. «La famiglia, possiamo dire, è stata da sempre “l’ospedale” più vicino – ha ricordato il pontefice – sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne, che garantiscono le cure e aiutano a guarire».

E sono proprio gli affetti, le ancore di salvezza dei coraggiosi ragazzi dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, protagonisti dell’omonima docu-fiction di Rai Tre, nata dall’iniziativa di Simona Ercolani e realizzata in collaborazione con Stand By Me. Il documentario racconta il difficile cammino quotidiano di piccoli pazienti chiamati ad affrontare il più terribile dei mali, in un viaggio attraverso momenti difficili, quali la caduta dei capelli, il trapianto, la stanchezza, ma anche il graduale ritorno alla normalità e alla routine precedente all’arrivo della malattia. In questo lungo e difficile percorso i ragazzi non sono mai soli, ad accompagnarli sempre i loro genitori, presenti in ogni momento e di vitale importanza affinché il percorso terapeutico abbia successo.

L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha infatti introdotto ormai da molti anni il modello dellaFamily Centered Care, una modalità di pratica assistenziale basata sul legame indissolubile tra salute e benessere del bambino e coinvolgimento e presenza della famiglia. In sintesi, ciò che è importante al fine della guarigione è sì la soddisfazione dei bisogni del paziente, ma anche quello di tutta la famiglia, alla quale viene offerta la possibilità di prendersi cura del proprio bambino sotto la supervisione dell’infermiere, attraverso un processo di coinvolgimento, partecipazione e collaborazione tra pazienti, familiari e staff medico. Obiettivo di tale approccio è mantenere il bambino nella normalità del proprio contesto familiare, evitando di stravolgere eccessivamente il suo mondo e le sue abitudini.

«Questo documento sottolinea l’importanza delle cure del bambino a 360 gradi, intese come le migliori cure mediche che possiamo offrire, ma anche le cure intese come accoglienza e attenzione ai bisogni più semplici del bambino – ha dichiarato Alice Bertaina, Responsabile di Oncoematologia pediatrica Ospedale Bambino Gesù – io credo che sia significativomostrare il percorso di un paziente che riceve questa diagnosi insieme ad una famiglia la cui vita viene letteralmente sconvolta dall’arrivo della malattia».

Al sorgere della malattia infatti, si è soliti dire che il paziente non sia l’unico malato, ma si ammali tutta la famiglia. Quando poi è un bambino a ricevere la diagnosi, la situazione si complica ulteriormente. La malattia rappresenta una vera e propria catastrofe emotiva, un trauma a tutti gli effetti: interferisce o modifica radicalmente le abitudini del bambino, riduce in maniera significativa la sua autonomia e indipendenza nella gestione dei suoi spazi e lo proietta in una nuova condizione di vita, radicalmente opposta a quella vissuta fino a poco tempo prima.

Ed ecco che diventa cruciale la vicinanza degli adulti che lo accudiscono, per evitare che la malattia lo terrorizzi a tal punto da incidere sullo sviluppo psicologico e sulla formazione della sua personalità. Per questo motivo l’ospedale ha allestito numerose strutture di accoglienza, per rendere meno traumatico il ricovero ospedaliero e far sentire genitori e bambini a casa. Tra queste, case famiglia, spazi per le mamme, ludoteche, oltre a stanze di emergenza, per accogliere le famiglie che arrivano in emergenza durante la notte. Tutto ciò per rafforzare l’unione familiare e la vicinanza degli affetti, affinché il percorso terapeutico prosegua in maniera ottimale.

È stato così per Giulia, 15enne originaria di Messina, affetta da leucemia mieloide acuta e trasferita all’ospedale di Roma per subire il trapianto di midollo. Con mamma Caterina, Giulia ha un rapporto di grande complicità e sarà proprio lei ad essere considerata idonea per l’intervento che salverà la vita alla figlia. Forte legame anche tra Caterina, 15enne di Napoli, affetta da nefronoftisi e la mamma Marilisa, che dopo questa intensa e difficile esperienza si è rafforzato ancora di più. Ancora una volta è una mamma a battersi per la salute della figlia: dopo aver eseguito i test di idoneità, Marilina ha saputo di essere compatibile e ha deciso di donare uno dei suoi reni alla ragazza. Due esempi straordinari che dimostrano quanto l’amore di un genitore verso un figlio possa essere incredibilmente potente. «Una mamma dà tutto – rivela emozionata la mamma di Caterina alle telecamere – io volevo solo vederla felice».

Ed è disposta a dare tutto anche la mamma di Roberto, il neo-diciottenne friulano, che organizza la visita a sorpresa di Tiziano, il migliore amico di Roberto, che dopo un’iniziale fase di apatia riesce ad azionare il meccanismo di ripresa e a percepire uno spiraglio di normalità, per tornare finalmente a vivere.

Tre storie diverse che evidenziano l’importanza di stare vicino ai propri cari soprattutto nei momenti di difficoltà, perché come dice Papa Francesco: «Bisogna aiutare i malati, non perdersi in chiacchiere. Aiutare sempre, consolare, sollevare, essere vicino ai malati, perché Gesù manda i discepoli a compiere la sua stessa opera e dona loro il potere di guarire, ossia di avvicinarsi ai malati e di prendersene cura fino in fondo».