TRASFIGURAZIONE: NELL’UOMO IL FIGLIO

La trasfigurazione sul monte è il racconto di una visione, come quando Dante si racconta nella Cantica del Paradiso. Un racconto simbolico più intenso e più ricco di una cronaca.

Gesù prende con sé Pietro, Giovanni e Giacomo, tre discepoli amici, che da mesi vivono quotidianamente con lui e li fa salire sul monte. I tre hanno incontrato il Rabbi Gesù, loro conterraneo, e in Lui hanno incontrato un “uomo di Dio”, che vive con dignità, amorevolezza, bontà, misericordia. Il parlare di quel Rabbi è una “Buona Novella”, veritativa e rivelativa perché, in parabole, Egli racconta un Dio benevolo con noi.

Ed ecco un giorno la “visione”. Si sono accompagnati con Lui, in disparte, sul monte, sotto la volta del cielo. Quel Rabbi prega in colloquio con il Padre suo. Quel loro amico è “trasfigurato”: il volto pieno di sole, la veste bianca e sfolgorante che lascia intravedere la gloria del Risorto, accanto i due profeti del Patto antico Mosè ed Elia, una nube che tutto avvolge e l’eco di una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo!” (Mt. 4,1-11). Stupore e tremore, tutto in silenzio, la faccia a terra.

Appena Pietro esce dal torpore, il silenzio si apre: “E’ bello per noi essere qui… facciamo tre tende”. Pietro vorrebbe fermare l’istante della visione, questo picco di esperienza che riempie di meraviglia occhi e cuore. Occorre invece lasciare il monte e tornare alla quotidianità. Quel picco di esperienza e quella visione resta negli occhi e nel cuore. I tre amici hanno intravisto chi è quel Rabbi che vive un rapporto intensissimo con Dio, un rapporto figliale. Il Padre suo, tutto Amore, vive e opera in quel caro amico, che prende sempre più coscienza di essere figlio e figlio si fa. Una realtà in atto e in crescita ogni giorno, perché quel Gesù-Figlio dell’Amore ogni giorno fa di sé stesso un dono agli uomini e a Dio. Gesù, Figlio dell’Amore, si fa nella sua vita amore donato. Sul monte l’hanno visto, questo Amore, grondante vita, questa bellezza che supera ogni dire e per tanto godono l’istante di felicità: “E’ bello per noi stare qui”.

In questa visione come uno specchio vediamo noi stessi. Basta entrarvi in silenzio ed ecco riflesso il nostro desiderio, il nostro sogno di essere figli amati e, pertanto, fratelli.

Già siamo nati figli di Dio e ancora “figli da farsi” perché, la figliolanza nel tempo si costruisce giorno dopo giorno. Siamo figli come il piccolo dell’uomo è già uomo, nel grembo materno e ancora in gestazione. Anche la nostra figliolanza divina è in gestazione, perché ogni giorno ci facciamo figli di Dio.

Questa è la nostra identità: fatti a immagine di Dio, ogni giorno disegniamo la nostra somiglianza con l’Amore. In questo nostro “farci figli” è però in gioco la nostra decisione libera, la nostra povertà, la possibilità di rifiuto, la lotta quotidiana con chi tenta di smentire la nostra identità di figli e fratelli.

D.M. Turoldo – morto 25 anni fa – contemplando la Trasfigurazione, ci fa un invito: “Ama / saluta le gente / dona / perdona / ama ancora e saluta. Dai la mano / aiuta / comprendi / dimentica e ricorda solo il bene. E del bene degli altri / godi e fai / godere. Godi del nulla che hai /  del poco che basta / giorno dopo giorno: / eppure quel poco / – se necessario – / dividi. / E vai / vai leggero / dietro il vento / e il sole / e canta. / Vai di paese in paese / e saluta / saluta tutti / il nero, l’olivastro / e perfino il bianco. / Canta il sogno del mondo: / che tutti i paesi / si contendano / d’averti generato. (O sensi miei…, Bur, Milano 1993, 514-515).

Quando vince l’amore ci ritroviamo figli amorevoli e misericordiosi e quanti vivono con noi li sentiamo fratelli. Allora si apre il cielo del nostro desiderio.

E’ bello allora vivere insieme e “stare qui”, anticipando come Gesù e con Gesù nella storia, uno squarcio di Regno, un picco di esperienza, la trasfigurazione.

Don Renzo – 12 marzo 2017