IL VOLTO DI CRISTO RE E’ IL VOLTO DEL POVERO

Un titolo solenne e alquanto pomposo denomina l’ultima domenica dell’anno liturgico Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo. Questa titolazione è figlia del suo tempo: tale festa venne istituita da Pio XI° l’ 11 dicembre 1925 con l’enciclica Quas Primas.

Le letture della messa presentano, la 1° Ez. 34, 11-17 Cristo come Pastore e Mt. 25, 31-46 Cristo Re, Giudice seduto sul trono della sua gloria, che si identifica con i piccoli, gli umili, i deboli, i poveri.

L’identificazione è nella risposta che il Re Giudice dà alla domanda: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, straniero, ignudo e in carcere …? In verità vi dico: tutto quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Il volto del povero che invoca configura il volto del Figlio dell’uomo seduto sul trono della sua gloria regale e lo configura con maestà incondizionata. E quel Figlio dell’uomo, con il volto del povero, pronuncia un giudizio senza sconti: benedice chi lo identifica coi poveri che vivono nel bisogno e maledice quanti chiudono loro il cuore.

Il cammino quotidiano per aderire a Cristo e vivere nel suo Regno sono le opere di misericordia elencate. Non è quindi possibile credere in Cristo senza praticare le opere dell’amore. Il cristiano crede in una persona, non in una legge.

Nel comune modo di pensare si giudicano persone e opere in base a un criterio: nel racconto il criterio dell’ultimo giorno quando “verranno radunati tutti i popoli”, e di conseguenza anche per tutti i giorni che lo precedono, è uno solo: il saper amare il volto del povero e di conseguenza Cristo che è la faccia parallela. L’amore per chi invoca è la cartina di tornasole che certifica la verità del primo amore. Il nostro saper amare ha dunque uno sguardo rivolto verso il cielo e uno sguardo che si china verso la terra.

Ancora nel racconto di Matteo il criterio è la stessa persona del Figlio dell’uomo che rende visibile la verità della persona umana: l’uomo può realizzare la pienezza della sua umanità quando, come Gesù, fa della sua vita un dono totale. E’ la parola dello stesso Gesù, figlio dell’uomo: “Non c’è amore più grande che dar la vita per chi si ama”.

Il giudizio così formulato ristabilisce la giustizia, cioè la statura della persona umana in rapporto al suo dover essere. Cristo è lo svelamento della persona e nello stesso tempo rivela un Dio che vuole un uomo partner umano libero, generoso e responsabile.

Rivela inoltre, come già detto, che la via per questa compiutezza sono le opere di misericordia e che il volto del povero che invoca è il volto di Dio che, nel Figlio fatto uomo, si fa povero.

Dio è ormai e per l’eternità cittadino del cielo e cittadino della terra.

                                                                                             Ivrea, 26 novembre 2017 – don Renzo