IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

La Sacralità Della Famiglia

Editoriale di Davide Ghezzo – 27 ottobre 2013

Con forza, quasi con ostinazione, il Papa torna a parlare della famiglia, come si torna a battere su un chiodo refrattario.

Famiglia come centro naturale della vita umana, come motore del mondo e della storia. Sembrerebbero frasi di circostanza, espressioni retoriche a un tanto al chilo, oggetto di compravendita soprattutto dei nostri politici; ma se ci soffermiamo su di esse, dovremo ammettere che contengono una verità profonda, un senso psicologico radicato profondamente in ciascuno di noi.

Come ci ricorda Bergoglio, è nel contesto e nel quadro della famiglia che ogni uomo riceve il nome e l’affetto, impara il senso del dialogo, e il valore della propria dignità. L’esperienza comune insegna che dove un giovane crea problemi a se stesso e agli altri, alle spalle ha quasi sempre una famiglia fragile o già spezzata, o che comunque gli ha negato quella sicurezza e quell’accoglienza cui ogni essere umano ha diritto fin dal principio. Maxima debetur puero reverentia, ammoniva il rètore e pedagogista latino Quintiliano. Al fanciullo si deve il massimo rispetto, se vogliamo farne un adulto responsabile, maturo, capace di inserirsi a pieno titolo nella società e di trarne i corretti benefici per la propria persona.

Una bella bacchettata di papa Francesco tocca stavolta anche alla società civile, che tende a evidenziare i diritti degli individui, dei singoli, minimizzando quelli della famiglia. Ma quest’ultima non è una semplice sommatoria di persone, ma una comunità di anime umane che respirano la stessa aria, si amano, dialogano, si sacrificano per il più debole. Dove ciò avviene, nell’aria aleggia uno spirito custode, un angelo, o paganamente un genius loci, una divinità propria di quel posto lì. In caso contrario, la casa diventa come una caserma, ovvero l’unico posto, come notava Karl Kraus, sicuramente privo dello spirito del luogo.

Il richiamo rivolto a politici e amministratori riguarda dunque l’opportunità – se non la necessità, nella cupa situazione socioeconomica – di fare di più per le famiglie, per esempio agevolando quelle più numerose, sgravando i costi degli studi, eccetera (l’elenco sarebbe lungo). Ma il Papa ha una parola anche per tutte quelle situazioni di difficoltà, di crisi grave, in cui il nucleo familiare appare già disgregato – e non dai motivi naturali, la morte e il matrimonio della generazione che subentra nel mondo degli adulti. Il riferimento non è solo a tutte le coppie separate e divorziate nel mondo capitalistico del benessere, ma anche alle famiglie spezzate dalla guerra, dalla miseria, dalla malattia, ai quattro angoli del mondo.

Questi momenti difficili, di sofferenza e angoscia, peraltro comuni a tutti gli uomini, vanno affrontati con coraggio, nella consapevolezza che si tratta di “passaggi per crescere nel bene, nella verità, nella bellezza” – i tre capisaldi già citati da Bergoglio come fine dell’agire umano, e in specie dei giovani.

E l’uomo si avvicina a queste tre mete, condizioni necessarie e sufficienti, diremmo, per la felicità temporale ed eterna, in specie quando si prende cura di chi lo circonda. E soprattutto di chi è più fragile, meno autosufficiente: bambini e anziani. Lei perde tempo con i suoi figli?, gioca con i suoi figli?, chiede il Papa, confessando genitori che si lamentano della propria prole. Questo tempo perso è in realtà un guadagno spirituale, un passo avanti nella dignità e nella ricchezza interiore.

Bambini abbandonati e anziani emarginati segnano il fallimento di una società, e ne marchiano in negativo il futuro. L’uomo, alunno dell’universo, ha come primo suo compito quello di custodire il vivente, dalla culla alla tomba, sì certo come stato sociale (così suona infatti la formula del socialismo scandinavo), ma anche e soprattutto nei bisogni della psiche e del cuore, negli aneliti dello spirito che stanno, da qualche parte, dentro ciascuno di noi.