GESÙ NON CONDANNA PERCHÈ DIO NON CONDANNA MAI

Il racconto del perdono dell’adultera, Gv. 8, 1-11, è un racconto enigmatico: compare nei racconti evangelici attorno al IV secolo, non è noto ai Padri orientali fino al medioevo, durante il Concilio di Trento alcuni padri conciliari vorrebbero eliminarlo dai Vangeli. Da secoli ormai lo troviamo inserito nel capitolo 8 del Vangelo di Giovanni.

La Legge ebraica prevedeva la pena di morte per l’uomo e la donna adulteri: Lv. 20, 10; Dt. 22,22. Nel racconto di Giovanni è condotta al giudizio solo la donna. 

Il quesito è posto al Rabbi Gesù per metterlo alla prova: per scribi e farisei, quando la legge è violata, l’unico modo per reintegrarla ed estirpare il male in Israele consiste nell’eliminare il peccatore.

Volendo eliminare la donna con la lapidazione, scribi e farisei decidono di farlo col minimo di responsabilità personale: una raffica simultanea di pietre per cui nessuno può sapere chi l’ha colpita.

Alla fine del cap. 8, 59, quando Gesù è incolpato di essere un indemoniato, il proposito è ancora quello di lapidarlo.

Ripercorriamo la scena. Gesù nel tempio sta insegnando. “Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Rabbi, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.

Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; và e d’ora in poi non peccare più»”.

Nessuno degli accusatori si ritiene senza peccato, quindi autorizzato a scagliare la pietra. La donna, rimasta sola davanti a Gesù, è invitata da Lui a tornare nella sua casa e non peccare più.

Gesù con quell’invito restituisce alla donna identità: la persona che pecca non va confusa col suo peccato, per questo la chiama “donna”. Oltre che identità Gesù le restituisce dignità: ella è ancora capace di volere e di amare il bene. Il peccato non prosciuga la capacità di bene, di amore e le risorse della sua libertà. L’immagine di Dio scolpita nel suo intimo, come in ogni uomo e donna, non è mai deturpata dal peccato è sempre conserva la sua caratteristica originaria di creatività di bene.

Il perdono è il “dono-per”, che Gesù concede in modo gratuito: per goderne non è richiesto né pentimento, né penitenza.

In sintesi: il fatto non viene cancellato né si può per-donare: in realtà si perdona solo e sempre la persona umana che Dio sempre ama e mai condanna. La persona che ha compiuto il peccato, è più grande del fatto compiuto.

Ivrea, 7 aprile 2019                                                                                                                                don Renzo