SUPERARE LA CRISI

Dalla fine del lavoro alla creatività

Giuseppe Lanzavecchia, 28.19.2013

Per SCIENCE AND THE FUTURE (28-31 OTTOBRE Politecnico di Torino)

ROMA – Il mondo avanzato soffre, assai più dei paesi emergenti, di una crisi caratterizzata innanzitutto dalla perdita progressiva di posti di lavoro; crisi che, soprattutto in Europa, viene affrontata con soluzioni che si basano su una concezione non più valida, perché superata, dell’economia e della società. É una concezione che ignora l’aspetto cruciale della mutazione in atto, la quale – dopo il superamento prima della società dei materiali, poi di quella dell’agricoltura, della rivoluzione industriale e dell’informazione – deve oggi uscire dalla società del nozionismo e della ripetizione per quella della creatività.

I lavori ripetitivi saranno fatti, meglio e a costo assai inferiore, dalle macchine; all’uomo, non rimane allora che la “creatività” che ha bisogno di nuove conoscenze rigorose e soprattutto inaspettate, pertanto tali da non rispondere a richieste del “mercato”, ma di crearle offrendo soluzioni e bisogni nuovi per una vita più sicura, agevole, interessante e ricca – non tanto e soltanto di denaro – ma di opportunità e valori innanzitutto spirituali, e quindi per una società più intelligente, colta e moralmente più solida. Occorre un nuovo sapere, una scienza che si traduce in tecnologia rigorosa e in soluzioni intelligenti, un pensiero, un’arte, culture effettive e non banali. L’insieme delle conoscenze – sul percorso che si è snodato dalla pietra fino al bosone di Higgs, dalla parola sino al pensiero filosofico e scientifico – ha consentito lo sviluppo della specie umana e la sua crescita materiale e spirituale; senza queste non avremmo nulla oltre a quanto hanno gli altri animali.

La creatività, con la curiosità, è forse la principale caratteristica dei bambini ma da sola non basta in un sistema collettivo che richiede organizzazione, competenze globali, capacità di integrazione che solo lo studio e l’esperienza possono dare. Ambiente, famiglia, educazione, scuola, società sono invece strutturate per evirare la creatività, e quindi solo pochi finiscono per essere veramente creativi sotto il profilo culturale che non è quello spontaneo, immaginativo, incapace poi di costruire. La cultura dominante, inoltre, insegna la paura delle novità e del cambiamento: dagli OGM, al nucleare, al mondo costruito contrapposto ad uno naturale, del quale inevitabilmente l’uomo è parte e autore.

Per capire – e scegliere – tra l’enorme congerie di lavori e conoscenze accumulate, Google ha realizzato un potentissimo strumento chiamato “Ngram Viewer”, che consente di individuare la presenza e misurare la quantità di concetti, considerazioni, pensieri, segnali, interpretazioni della massa degli utenti, ma non dei “pochi” fuori dal coro. Così, si suggerisce di leggere Neale Hurston e non Steinbeck per capire il New Deal, e “Amatissima” di Toni Morrison o “Pastorale americana” di Philip Roth, invece dei primi lavori di Thomas Pinchon e Breat Easton Ellis, per comprendere il romanzo post moderno. Questo significa analizzare il senso comune ma non il pensiero creativo, valorizzare la concezione comune e “popolare” ma non quella “profonda e culturale”, il pressapochismo della gente comune ma non il rigore del sapere, ossia di scegliere la via della mediocrità invece di quella del valore, cioè di non creare la via creativa per un valido domani.

Si sta appena concludendo la società del nozionismo – una società rozza che richiede un sapere statico imparato da giovani e da usare per tutta la vita – che l’attuale evoluzione socio-economico-culturale costringe persone e popoli ad abbandonare per quella del sapere, della scienza, della creatività. In questo nuovo corso sempre meno si debbono usare – anche se in modo rigoroso – le nozioni apprese, comprese le più avanzate e complesse, ma occorre che, tutti, ne creino di nuove, lasciando alle macchine il compito di operare in base alle conoscenze, ossia alle nozioni. Il lavoro di domani non potrà allora che essere quello di creare sapere, che sarà usato da macchine, e di insegnare alle macchine come usarlo.

Va detto che responsabili e persone si stanno rendendo confusamente conto che non soltanto il lavoro convenzionale è destinato a ridursi sino magari scomparire, ma che soprattutto occorre darsi da fare per un futuro attivo, nel quale credere, e del quale essere padroni inventando e dominando sia i piccoli innumerevoli processi delle più svariate attività informatiche, educative, organizzative, artigianali, industriali, sia i grandi processi con i quali si crea e governa l’economia e tutta la società, e quindi si crea la ricchezza: l’invenzione delle risorse (materiali e cibo sintetici), la loro trasformazione (manifattura e alimenti), la comunicazione (informatica), la conoscenza (educazione, scienza e suo impiego).

Gli sviluppi della scienza consentiranno di promuovere per l’energia, comprese le rinnovabili veramente innovative a basso costo, senza impiego di uomini, insomma non “artigianali”, soluzioni tecnologiche avveniristiche, per alcune delle quali già esistono premesse promettenti. Accenniamo appena alla produzione biologica dell’idrogeno, da batteri o da piante, o all’energia del punto zero come consente la meccanica quantistica. In ogni caso per il settore dell’energia – come per qualunque altro settore – non saranno le modeste soluzioni delle piccole invenzioni a risolvere i problemi, ma le grandi conquiste delle nuove conoscenze.

Le risorse, sotto il profilo strategico – e quindi politico – stanno tornando determinanti come sono state in un passato non lontano, sempre meno però per la loro presenza geografica e la loro quantità, quanto per gli avanzamenti tecnico-scientifici capaci di aumentarne le prestazioni, di inventarne di nuove, come sostitute di quelle scarse o capaci di rispondere a bisogni altrimenti non soddisfabili, affrontando problemi per una società del domani, del tutto nuova. Si tratta di un settore che richiede ricerca, invenzione di nuove soluzioni e attività, ove industrie, imprese e paesi più aggressivi hanno aperto e sopratutto stanno aprendo il campo a un’economia e a una società avveniristica ove il lavoro sarà appunto quello di inventare materia e materiali, strumenti, soluzioni e come concepire e strutturare il nuovo mondo che lascia da parte quello nel quale siamo ancora abituati a vivere, quello che chiamiamo industriale e postindustriale. Qui si trova il crinale che separa drammaticamente arcaici e vinti da creatori e vincenti.

In questo campo si prospettano soluzioni rivoluzionarie che, ad esempio, comportano la possibilità di partire con un unico processo unitario dall’invenzione dei materiali, al loro impiego con nuove tecnologie – che imitano quelle dell’informatica – per progettare e costruire qualunque manufatto. Si tratta di una serie consistente di possibilità che potrebbero far retrocedere “all’età della pietra”, nel giro di uno o due decenni, il mondo più avanzato che viviamo oggi.