IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

“L’EREDITA’ DEL VANGELO”

Editoriale di Davide Ghezzo – 9 giugno 2013

Lasciate che i bambini vengano a me”, disse Gesù agli apostoli che volevano tenere lontani i piccoli dalla predicazione del loro Maestro, considerata quasi ‘vietata ai minori’. E in un altro detto famoso Cristo ammonisce gli adulti che se non diventeranno come bambini, non entreranno nel Regno dei cieli.

Si tratta, è chiaro, di una dicotomia spirituale e psicologica: l’infanzia in questione è la capacità dell’uomo di qualunque età di mantenersi semplice, aperto alla parola del Bene, e anche, perché no, disponibile allo stupore poetico, come chiedeva Giovanni Pascoli; e all’opposto, incapace di doppiezza e di calcolo avido degli interessi, materiali ed emozionali.

Francesco I, il nostro nuovo Papa, sembra a sua volta incapace di perdere la giovinezza spirituale, proprio anche per il gusto che dimostra dell’accoglienza dei piccoli, messa in pratica in base alla parola e all’esempio di Gesù. Con la semplicità che ormai gli conosciamo, e che traspare nei gesti più semplici così come nel rituale, il Pontefice ha infatti ricevuto migliaia di bambini delle scuole elementari, rispondendo alle loro domande, ingenue ma non troppo, che hanno comunque stimolato Francesco a risposte divertite e divertenti: ne emerge l’immagine di un uomo totalmente estraneo all’ambizione, che non pensava affatto alla carriera ecclesiastica, e infine a diventare Papa. E proprio il disinteresse dell’onore mondano, fosse anche nella forma del raffinato appartamento dei predecessori – ch’egli ha rifiutato di occupare, adducendo scherzosamente motivi “psichiatrici” –, sembra dargli la forza di reggere il pontificato con un sorriso costante, quasi con leggerezza. E sia chiaro, per creare un ulteriore parallelo letterario, che non si tratta della ‘leggerezza dell’essere’ di Milan Kundera, cioè dell’inconsistenza interiore di tanti, troppi esseri umani, ma di quella levità considerata da Italo Calvino segno di eleganza e bellezza di una storia e di un personaggio.

Se lo stile è l’uomo, insomma, il sorriso tenero e sicuro di Francesco I è specchio di una serenità, di una fiducia interiore che non possono essere scosse da nessun accidente della vita materiale. Ha detto un ateo, con rammarico, che stare con la Chiesa è come tifare per la squadra più forte: qualcosa porti sempre a casa, qualche trofeo per illustrare la bacheca dello spirito.

Ma da dove, bisogna chiedersi, papa Francesco trae la sicura felicità del suo sguardo? Dall’eredità. E’ un tema ch’egli ha trattato nelle conversazioni – recentemente edite anche in Italia – col rabbino ebraico Abraham Skorka, risalenti ad alcuni anni or sono, quando Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires. Di fronte al tema delicato delle differenze dogmatico-morali esistenti tra il Cattolicesimo e l’Ebraismo (ma sullo sfondo si collocano anche le chiese ortodossa e protestante), il Papa pone la giusta enfasi sulla necessità di salvare e confermare l’eredità di pensiero e sentimento che viene dal Vangelo.

Esistono cioè temi ed elementi della vita della Chiesa che sono oggetto di acquisizioni e trasformazioni storiche; un esempio per tutti, il celibato dei preti. Su argomenti del genere, afferma Bergoglio, si può discutere, e si è discusso, in effetti, per secoli, tra le gerarchie e le differenti scuole di pensiero ecclesiastico – tanto che, alla fine, la parte cattolica è la sola confessione cristiana che ha deciso per l’impegno al celibato. Nulla vieta quindi a un cristiano di cambiare idea su tutto ciò che è stato elaborato nel tempo degli uomini, anche nel settore strettamente teologico: il limbo, cui erano destinati i piccoli non battezzati, è ormai scomparso dai catechismi.

Ma esiste un nucleo, ammonisce il Papa, del tutto non negoziabile, fuori mercato: sono le parole dette da Gesù nella sua apparizione terrena. Se mettiamo in discussione i motti fondanti di Cristo, allora non c’è più nulla su cui fondare. Non possiamo non avere una chiesa cristocentrica, che afferma con forza la divinità di Gesù, l’uomo che duemila anni or sono portò sulla Terra una bontà che non era di questo mondo; ma apparteneva, appunto, al Regno ch’egli ci promette, e al quale  siamo tutti felicemente destinati, perché Dio – ricorda sorridente Francesco I – non si stanca di perdonare.

Se poi l’uomo fa qualche passo verso di Lui, tutto diventa ancora più facile…