LE ALPI: CUORE DELL’EUROPA
Dall’università interviene lo storico Marco Cuaz

TORINO- Marco Cuaz, docente di Storia dell’Università  della Valle d’Aosta, ha partecipato al convegno “Più Su Montagna: per un futuro all’altezza” organizzato da Lido Riba, presidente UNCEM Piemonte, nei giorni 6-7-8 Novembre presso il centro congressi dell’Environment Park. Forte interesse ha suscitato l’approfondita esposizione di Cuaz, intitolata “Pratiche Alpinistiche e usi politici della montagna nell’Italia del ‘900”,  in cui il docente ripercorre le tappe salienti della storia d’Italia e d’Europa degli ultimi due secoli che hanno influenzato il rapporto tra società e terre alte.
Questo viaggio nella storia inizia con gli intellettuali inglesi della seconda metà dell’800 che vedono l’alpinismo come un’attività sportiva: «L’alpinismo vittoriano era un gioco, senza giustificazioni economiche, scientifiche o estetiche. – spiega Cuaz – E le Alpi, quale miglior terreno di gioco, rappresentavano uno spazio internazionale dove praticare un’attività edonistica, individualista, elegante,  dove incontrare e duellare l’aristocrazia europea». L’Unità d’Italia trasforma le Alpi in una barriera protettiva, “lo spazio materiale di un’identità” che non può essere lasciato in mani straniere: da questi presupposti nel 1863 nasce il Club Alpino Italiano (CAI), con la funzione primaria di “far conoscere le montagne e agevolare le escursioni, le salite e le esplorazioni scientifiche”. La pratica dell’alpinismo acquista però fin da subito un senso più profondo: “è uno strumento di educazione fisica e morale dei giovani” da contrapporre al modello corrotto della città. «E poi arriva la Grande Guerra. –  prosegue Cuaz– E il luogo di vacanze dove ritemprare mente e spirito, la palestra di coraggio e disciplina dove i ragazzi dovevano diventare uomini divenne luogo di lotta e sacrificio supremo».
Le montagne si trasformano in “sacrario della nazione”, un mito dove vita civile e vita militare si fondono. Il Fascismo userà questa retorica per legare all’Italia le popolazioni alpine e trasformarle nei primi soldati d’Italia. “Ma la catastrofe militare della seconda guerra mondiale segnò la fine di un mito”. Gli alpini vennero traditi e mandati a combattere per patrie che non erano la loro. E questo tradimento non può che cambiare in modo definitivo il rapporto con le terre alte. Cuaz termina questo viaggio nel passato con gli avvenimenti degli ultimi cinquant’anni che hanno portato all’immagine attuale di montagna, evidenziando come «nel secondo dopoguerra la nozione stessa di frontiera cambia di significato, non è più linea di confine che separa due mondi, ma uno ‘spazio di interrelazione’». La pressione delle istituzioni si allenta e la montagna viene abbandonata al mercato turistico. Solo alla fine degli anni Settanta del secolo scorso le Alpi si ritroveranno al centro di un progetto politico strategico: diventare un “laboratorio dell’Europa”, orientato alla  creazione di in una “cooperazione transfrontaliera”. Cuaz conclude con un avvertimento sui rischi di un eccessivo uso politico della storia, che si riflette nell’“invenzione delle tradizioni”: «Molte delle millenarie tradizioni alpine – evidenzia lo storico – hanno in realtà pochi anni di vita e sono nate negli assessorati alla cultura e al turismo di comuni e regioni». E’ necessario quindi “aprire un cantiere di lavoro sulla tradizione” per distinguere “il piano della ricerca scientifica da quello della propaganda” e impedire che gli studiosi di storia si trasformino in semplici promotori turistici.

Elisa Ponassi, Il Risveglio Popolare, 28 Novembre 2008
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