MONSIGNOR STAGLIANÒ: “CANTO LA MUSICA POP PER ARRIVARE AL CUORE DEI GIOVANI”

Il vescovo di Noto presenta a Torino il suo ultimo libro “Credo negli esseri umani”, edito da Rubettino

Krizia Ribotta 8.09.2016                  FOTOGALLERY

TORINO – “Non sono un cantante, io voglio restare, resto e sono un predicatore, e utilizzo qua e là pezzi di canzoni”: così esordisce Monsignor Antonio Staglianò, vescovo di Noto, sabato 3 settembre a Torino, durante la presentazione del suo nuovo libro Credo negli esseri umani, la buona novella pop, edito da Rubettino.

Lui, lo conoscono tutti e bene: è il prete che, anche con mitra dorata e pastorale, cattura l’attenzione dei giovani cantando Mengoni e Noemi durante le omelie. I suoi video, diventati immediatamente virali dopo quello della celebrazione di una Santa Cresima, hanno ottenuto l’effetto desiderato: riuscire ad educare i ragazzi all’insegnamento di Gesù.

Sala gremita, quella della sede RAI di Via Verdi 16, dove ad accoglierlo, tra gli altri, ci sono numerosi under 30 che lo applaudono non appena arriva, gli chiedono un autografo e sono pronti per quella che ha tutta l’aria di essere una vera e propria lezione di vita.

In apertura della serata, il compositore iraniano Alireza Mortazavi, uno dei massimi interpreti del santùr (strumento musicale iraniano, ndr), intrattiene il pubblico con “Adoro la libertà”, un’interpretazione magistrale carica di pathos, per creare quella giusta atmosfera di meditazione trascendentale che porta alla libertà. Libertà anche (e soprattutto) da tutte le informazioni di cui siamo schiavi dei media, che ci impediscono di godere di quella leggerezza di cui abbiamo bisogno in quanto esseri umani.

Esseri umani. Ecco il filo conduttore che lega la performance dell’artista all’intervento di Monsignor Staglianò, che vuol essere chiamato semplicemente Don Tonino, come fa chi lo conosce da sempre.

Il  vescovo della diocesi di Noto non si definisce un prete rivoluzionario, ma ritiene di aver individuato nella “cantillazione” (canto senza accompagnamento musicale, ndr) un nuovo metodo comunicativo di grande efficacia, in quanto il canto è per lui il miglior modo per arrivare a far vibrare l’anima dei giovani, perché “permette di esprimere concetti complessi attraverso parole e ritornelli semplici. L’‘ecclesiale’ infatti, non attira l’attenzione di nessuno; meglio puntare sulla creazione di un linguaggio fresco ed universale, quello delle cosiddette ‘canzonette’”.

Potrebbe però sorgere un dubbio legato alla dignità letteraria che hanno i testi pop dei cantanti e cantautori italiani. È forse possibile trovare, in questo tipo di musica, la sapienza umana, vista la semplicità e l’orecchiabilità di certi contenuti? La risposta è sì, per il semplice fatto che quanto narrato nelle canzoni, non è altro che il messaggio contenuto nel Vangelo. Ne è la riprova il Cantico dei Cantici, nato sì per celebrare l’amore tra uomo e donna, ma che rinvia ad un amore più profondo, quello tra Cristo e la Chiesa. Un testo che contiene eros e sensualità, proprio come l’amore di Gesù per il suo popolo. Un amore corporeo e non platonico, perché “se non c’è corpo non c’è amore”.

“Cosa significa restare umani?” chiede allora Alessandra Ferraro, vice caporedattore RAI della Valle d’Aosta, che modera la presentazione insieme a don Livio Demarie, direttore della Rivista Maria Ausiliatrice e dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali della Diocesi di Torino.

L’esempio più lampante che offre il prelato siciliano è la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, che si sarebbe tenuta il giorno seguente. Diventare santo, non significa trasformarsi in angelo e avere l’aureola, ma corrisponde ad“un atto infallibile, in cui il Papa dichiara al mondo che questo santo è divenuto Vangelo, è diventato Gesù”.  Perché la santità non cambia la persona: Dio vuole che tutti restino umani, ed è proprio negli esseri umani che Lui crede, come si legge nell’episodio della Tasfigurazione di Cristo: “Dio crede nel figlio Suo, che è l’umanità bella e buona”.

Dio, di conseguenza, crede anche negli esseri umani, compresi quei giovani che preferiscono frequentare la chiesa non per la Santa Messa, ma per catturare tutti i Pokemon. Paradosso inaccettabile, che dev’essere risolto cercando di riportare sulla retta via questi “figlioli prodighi” parlando loro con un linguaggio diretto e familiare, affinché possano interiorizzare le Sacre Scritture. E Monsignor Staglianò ci riesce, con una spiccata dote comunicativa e un temperamento vulcanico, frutto senza dubbio di una profonda cultura, comprovata dai numerosi scritti già pubblicati dalle principali case editrice cattoliche italiane.  A questo, dunque, servono le cantillazioni di Mengoni, Noemi, Nek, Vecchioni, Renato Zero, alternate alle riflessioni domenicali: a descrivere il rapporto tra Dio e l’uomo e a diffondere la parola di Cristo a chi altrimenti non la ascolterebbe.

“Incontriamoci da esseri umani anche tra di noi”: questo l’invito di Don Tonino, che porta a riflettere su un altro tema molto attuale, l’immigrazione. La prima cosa che chiedono gli immigrati, non è cibo, nè vestiario, ma la scheda telefonica. Il telefono, per avvisare a casa che sono arrivati sani e salvi, malgrado le complicazioni che possono esserci state durante il viaggio. Ancora una volta la comunicazione diventa uno strumento che crea legami tra la gente, che unisce e che genera amore. Perché, come canta Nek, le cui parole sono quelle di San Paolo apostolo ai Corinzi: “Se non ami, non ti ami, non ci sei”. Ecco dunque che “con la musica le parole ci entrano meglio nel cuore. Nek le ripete, e lo fa bene, ma chi lo dice? Lo dice Gesù!” insiste Monsignor Staglianò, tra gli applausi ininterrotti dei presenti.

Tra il pubblico, c’è anche chi si commuove, come Valentina Pascal, prima donna romena a far parte della Consulta femminile della Regione Piemonte. Lei lo conosce da più di 15 anni, Don Tonino, da quando nel 2000, a Reggio Calabria, si ritrova ad assistere ad una delle sue Messe, in una “chiesa qualunque”. Poteva essere quella di Sant’Antonio da Padova, ma Valentina, di quel giorno, ricorda solo le parole di quel prete, che le sono poi rimaste nel cuore. Grazie a quell’omelia e all’amore di una famiglia locale che si fida di lei, nonostante sia una clandestina, Valentina impara il significato di “sentirsi un essere umano”. E a distanza di quasi due decenni, a Torino, abbraccia il vescovo di Noto, perché per merito suo lei oggi“crede negli esseri umani che hanno coraggio di essere umani”.

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