QUESTO PEZZO DI PANE E’ IL MIO CORPO

Corpus Domini

La festa del Corpus Domini ha origine nel medioevo e lo schema liturgico della Messa è stato composto da uno dei più grandi cristiani credenti San Tommaso D’Aquino (1225 – 1274).

Le parole del Vangelo proclamato “Prendete e mangiate questo è il mio corpo” sono quelle ripetute in ogni celebrazione eucaristica nel momento della consacrazione.

Gesù quella sera dell’addio, come un capo famiglia, celebrò l’Haggadà pasquale coi suoi e offrì loro, al termine della Cena, il pane spezzato come Suo Corpo ordinando di ripetere il gesto in sua memoria.

Per richiamarne il senso e la carica vitale del dono di quel Corpo offerto a tutti noi, vorrei partire dall’evento corpo nel linguaggio contemporaneo.

Strana epoca la nostra: il corpo è esibito in tutti i modi come il manifesto della nostra identità, curato, abbellito, vestito, messo in posa accattivante; il corpo è modificato oggi nel bene quando richiede una “riparazione” con innumerevoli trapianti; a volte è esibito, evidenziando la muscolatura come fanno i culturisti, e non sempre nel bene. Spesso il corpo, i corpi, sono buttati come scarto dai barconi che attraversano il mediterraneo e i corpi vivi ammassati sui barconi ci impietosiscono.

Il nostro corpo, se contemplato con benevolenza, ci ricorda che siamo creature; un corpo fatto da chi ci ha amati è diventato nostro, fragile e limitato. Inoltre sempre se considerato con benevolenza è un corpo che va nutrito, dissetato, abbracciato: senza l’abbraccio il nostro corpo intisichisce!

Se il nostro corpo è considerato a tutto tondo significa tutto ciò che “fa corpo in noi”: la nostra storia, la nostra vita, le nostre abitudini, i nostri difetti: la figura che visibilizza la nostra persona e la nostra storia, la comunica.

Dare il proprio corpo è dare tutto se stessi: una stretta di mano, un sorriso sono doni di sé, reciproci; l’unione intima dei corpi è il più intenso e veritiero atto d’amore, atto che ci umanizza al massimo con quella carica di santificazione che ci avvicina al Santo.

Se il Rabbi Gesù quella sera, durante la Cena Pasquale, disse “Prendete e mangiate, questo pane è il mio corpo” volle dare concretezza alla promessa “Io sarò con voi fino alle fine dei secoli”. E quel pane-corpo è la sua parola, le sue azioni, il suo amore, la sua croce, la sua risurrezione, la sua vita data “da mangiare a tutti”.

Di conseguenza per i cristiani Dio non è un’idea, ma un “corpo”; un corpo che comunica e racconta l’incontro di Lui con noi.

L’incontro già avvenuto nella grotta di Betlemme con quel corpo nato da Maria, incontro avvenuto per le strade della Palestina con il Rabbi viandante, incontro avviato per le vie del mondo fino alla fine dei secoli con quel pezzo di pane da mangiare. Vivere la fede è vivere l’incontro.

Coloro che mangiano quel pane dato, non sono dei perfetti, sono tutti peccatori come lo erano quella sera lontana, peccatori Tommaso, Pietro, Giuda. Quel pane-corpo è stato dato a tutti.

Inoltre tutti coloro che mangiano quel “pane” diventano essi stessi un solo corpo: è il pane della fraternità accolta e vissuta.

Chi mai può essere indegno di mangiare quel pane per cui, se lo mangia, mangia la sua condanna, come già disse Paolo di Tarso?

Personalmente penso che l’unico indegno è il corrotto, colui che nella sua coscienza e nelle sue azioni denega l’amore, il volere bene a chi si deve voler bene, perché si considera unico bene per sé e sottrae il bene degli altri per farlo suo e così lo corrompe. Il corrotto è quanto vi è di più lontano e opposto al vivere da uomo e da cristiano, l’affronto più grande a quanto Gesù ci ha donato, l’atto più disumano perché “corrompe” la fratellanza, il tessuto di relazioni necessarie per qualsiasi umanizzazione.

Tutti gli altri, mangiando quel pane, il più delle volte anche chiedendo sinceramente perdono, mangiano la loro salvezza perché quel pane-corpo è vita.                                                                                                                                                                                                                                                                                         don Renzo – 7 giugno 2015