SE NON VEDO NON CREDO

Sulla capacità di credere si gioca il vivere insieme e la qualità della nostra esistenza

Don Renzo GAMERRO, II° domenica di Pasqua – 03 aprile 2016

Il racconto pasquale di Gv. 20, 19-31, in cui Tommaso vuole vedere e toccare per credere, è così conosciuto da essere abitualmente condensato nel detto: “sei proprio un Tommaso!”, quando si vuole sottolineare l’incredulità di chi ci sta accanto.

La redazione scritta del racconto data attorno all’anno 100 dopo Cristo, quando da oramai 70 anni dalla morte di Gesù, l’episodio era stato raccontato e meditato dalle piccole comunità cristiane che popolavano la sponda mediterranea da Gerusalemme, ad Atene, ad Efeso. E’ un racconto che si è arricchito, nei decenni, di notazioni significative.

Prima di evidenziarne qualcuna, la lettura dell’episodio rimanda all’oggi. Oggi constatiamo il venir meno della fiducia, come un cambiamento significativo, negli ultimi decenni, della qualità del nostro vivere insieme. Questo cambiamento pone a noi almeno due domande. Possiamo vivere insieme senza dar fiducia a chi vive con noi? Senza fiducia-fede, non si diventapersone rivoltate e pertanto incapaci di vivere insieme e impossibilitati di conoscere l’amore?” (E. Bianchi).

Il testo contiene indicazioni significative. I discepoli sono rinchiusi nel cenacolo per paura dei giudei. La paura suscita sfiducia e diffidenza. Tommaso è il solo che non ha paura, perché vive fuori, a Gerusalemme, incuriosito dell’ambiente creato dalla morte di quel Rabbi. In quel contesto gli pare inaudito l’annuncio delle donne e dei “suoi”, quando affermano che quel suo amico è risorto.

Tommaso rientra dopo otto giorni. Gesù viene e sta in mezzo a loro come colui che vuole condividere “shalom”, quel bene che annuncia cioè la vita rinnovata e vittoriosa; un bene da annunciare e condividere con tutti. “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li tratterete saranno trattenuti”. I discepoli sono i partners-annunciatori e testimoni di quella pienezza di vita.

Segue il dialogo tra Gesù e Tommaso. Tommaso pieno di meraviglia affida al suo amico risorto tutto se stesso:Tu sei mio Signore e mio Dio”.

Tutti noi, leggendo il testo, siamo coinvolti in questo cambiamento di situazione, dalla sfiducia alla fiducia totale. Il gesto di Gesù e di Tommaso ha richiamato in ciascuno di noi l’insopprimibile bisogno di fiducia e di credere. Tutti noi siamo nati e cresciuti nella fiducia, fin dal grembo materno. Senza fiducia e reciproco affidamento non saremmo nati né cresciuti.

Ha pienamente ragione Gesù quando dichiara beati coloro che credono senza aver veduto e toccato, perché continuamente, giorno dopo giorno, noi crediamo a promesse, prima che a fatti. Se appena diciamo a qualcuno il nostro affetto, il nostro amore, affidiamo noi stessi a una promessa. Proprio questo nostro affidarci a promesse, fa di noi persone libere, persone capaci di conoscere l’amore, di sperimentare convivenza e relazioni interpersonali, di sperimentare il bene dell’essere capiti, amati e accolti, quel bene che nessuno ci può rubare.

Senza fiducia-fede non può esistere nessuna esperienza religiosa.

Se poi, come dice Enzo Bianchi (la Stampa del 02.04.2016), “ci collochiamo nello spazio della polis, la fiducia negli altri è elemento essenziale non solo per la convivenza quotidiana, ma anche per giungere a delineare orizzonti condivisi attraverso il faticoso esercizio della democrazia. Quest’ultima nasce dal credere gli uni negli altri all’interno della communitas, e muore quando prendono il sopravvento gli «increduli», cioè coloro che non nutrono fiducia negli altri, nella società e a volte nemmeno in se stessi. (…)

Sulla capacità di credere si gioca il vivere insieme e la qualità della nostra esistenza”.