TAHAR BEN JELLOUN, UNO SCRITTORE COINVOLTO NEL SOCIALE

La letteratura non può cambiare il mondo, ma il silenzio è un’intollerabile complicità.

Davide GHEZZO – Fabio TERRANOVA, 24.03.2014

TORINO«Nell’Islam non esistono costrizioni. Nessuno ha il diritto di obbligarvi a dire preghiere, né Dio né vostro padre. Quindi siete liberi, pensateci; la cosa fondamentale è non rubare, non mentire, non picchiare chi è debole e chi è malato, non tradire, non calunniare chi non ha fatto nulla, non maltrattare i propri genitori e soprattutto non commettere ingiustizie». L’autore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun sintetizza con queste parole – tratte da “L’ Islam expliqué aux enfants”il suo pensiero sociopolitico.

Ospite di Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa il 15 marzo 2014, Ben Jelloun ha presentato il suo ultimo romanzo: “L’Ablation” (l’ablazione), «storia in prima persona di un uomo sui 60 anni che per curare un cancro alla prostata decide di affrontare l’intervento» come riassume Fazio durante la puntata dedicata allo scrittore (visionabile all’indirizzo http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c19fb9c1-f2ba-495f-abb0-bf3e4ec782bf.html).

Oltre che per la trasmissione Rai, Tahar Ben Jeooun è in Italia per partecipare come ospite e protagonista del prestigioso festival Dedica, che si svolge a Pordenone fino al 22 marzo, a cura dell’Associazione Culturale Thesis. Il giorno 11 il sindaco di Pordenone, Claudio Pedrotti, in una cerimonia ufficiale tenutasi in municipio gli ha consegnato il sigillo della Città come riconoscimento dei suoi alti meriti culturali e sociali.

Nato nel Marocco francese a Fèz il 1 dicembre 1944, Tahar Ben Jelloun si laurea in filosofia all’università di Rabat “Mohammed V”. Nel 1975 consegue il dottorato alla Sorbonne di Parigi con la tesi sulla condizione degli immigrati nordafricani in Francia, (adattata nel saggio “La plus haute des solitudes”). Inizia la sua carriera di scrittore nei primi anni ’60, quando è in prima linea nella stesura diSouffles”, una delle più importanti avanguardie letterarie del Nord-Africa.

Da allora la lunga strada artistica percorsa dall’autore lo ha portato ad una fama internazionale, e specialmente europea. Tradotto in almeno 25 lingue, ha alle spalle più di 50 opere. Tra queste le più importanti sono il già citato “L’ Islam Expliqué aux Enfants” (2002), “Le Racisme Expliqué à Ma Fille)” (1998), “L’enfant de Sable” (1985), e “La Nuit sacrée” che gli vale il Premio Goncourt nel 1987, permettendogli di diventare a partire da quell’anno lo scrittore straniero francofono più conosciuto in Francia. È particolarmente apprezzato anche in Italia grazie ad alcuni suoi romanzi qui ambientati, in particolare a Napoli: “Labyrinthe des sentiments” del 2001 e “L’Auberge des pauvres” del 2004. Numerosi sono anche gli articoli pubblicati sul noto quotidiano “La Repubblica”.

Ma esiste anche un Ben Jelloun poeta: nel 1971 pubblica la sua prima raccolta di poesie intitolata “Hommes sous linceul de silence”; seguiranno altre antologie. Tutte le sue poesie sono state raccolte in “Poésie complète”. Ma la sua poliedricità non finisce qui: ha scritto anche novelle, opere teatrali, saggi. Ogni sua opera è impregnata di innovazione fusa con la tradizione letteraria e culturale. In definitiva si tratta di uno scrittore-poeta molto variegato negli stili e nelle scelte di genere, come dimostra la sua bibliografia, visitabile anche sul suo sito personale http://www.taharbenjelloun.org/

Che si tratti di romanzi, poesie, novelle, articoli o saggi ciò che contraddistingue Tahar Ben Jelloun sono i temi sociali che affronta, sempre attuali e scottanti, profondamente sentiti dall’autore: l’emigrazione (“Hospitalité française”); la ricerca dell’identità (“La Prière de l’absent” e il già citato “La Nuit sacrée”), la corruzione (“L’Homme rompu”). Sono tematiche proprie anche del suo diretto impegno sociale: spesso schierato contro le ingiustizie è stato premiato dalle Nazioni Unite e ha ricevuto molte onorificenze prestigiose per le sue battaglie contro il razzismo.

Tra opera e vita, spicca di Ben Jelloun la volontà di promuovere la tolleranza e il rispetto reciproco tra le diverse culture. I protagonisti delle sue opere sono i “testimoni” di questo impegno sociale; nello stesso tempo lo scrittore offre loro la possibilità di redimersi e di parlare tramite la loro stessa vicenda, sapientemente offerta. Il lettore stesso diventa protagonista e quindi testimone a sua volta di quel mondo drammatico. È una narrazione che punta su una mascherata complicità tra universo reale del lettore e universo narrativo dei protagonisti, due realtà che si fondono perfettamente. Chi legge può provare quasi sulla propria pelle quelle sensazioni generate dalle ingiustizie, fatto che in qualche modo lo condurrà a non volerle commettere a sua volta. L’universo narrativo di Tahar Ben Jelloun influisce così su quello reale.

Singolare è la lingua prevalentemente scelta: non quella degli arabi oppressi ma quella degli oppressori francesi. Tahar Ben Jelloun non avverte alcun senso di disagio nei confronti del francese. Al contrario ne è profondamente affascinato: lingua dalle forme sinuose ed eleganti, si confà perfettamente alla sua personale “scrittura polifonica e raffinata” come l’enciclopedia Treccani la definisce.  Ma esiste anche una ragione molto più profonda ed in linea con le sue tematiche sociali: è un modo per dimostrare che in fondo tra oppressore ed oppresso non esiste alcuna differenza. Gli individui sono tutti uguali nella loro sostanza umana, che parlino il francese o l’arabo, e vanno tutti rispettati allo stesso modo.

L’autore riesce così a sfondare qualsiasi barriera nazionale, culturale e razziale. Non importa quali differenze ci siano tra protagonisti e lettori e addirittura tra lettori ed altri lettori: ciò che conta sono le sensazioni e le emozioni trasmesse. Tutti gli individui di qualunque nazione e cultura le provano e ne sono accomunati all’insegna di un’unica grande spiritualità che pone le basi per la comprensione del “diverso”.

Tahar Ben Jelloun ci insegna allora una differenza fondamentale tra “compassione” ed “empatia”, due concetti spesso assimilati ma molto diversi. Una è il semplice sentimento di pietà nei confronti di chi vive esperienze negative ma di cui alla fine non si è in grado di carpire gli insegnamenti derivati. L’empatia invece è una forma di comunicazione molto più potente ed efficace: è la capacità di recepire e trasmettere nell’immediato quali insegnamenti abbia tratto chi ha vissuto una determinata esperienza, di farli propri senza avvertire il peso dell’eventuale negatività.  Ogni parola di Tahar Ben Jelloun ne è carica e la riversa nello spirito del lettore ma senza saturarlo. Lo stimola al punto giusto, quel tanto che basta da non opprimerlo e manipolarlo interiormente con la compassione ma da indurlo a ragionare e decidere in piena autonomia. Per questo motivo potremo individuare nel suo stile una “razionalità emotiva”.

La sua scrittura è così in grado di influenzare molteplici tessuti culturali e insieme di attingere a una profonda spiritualità. Queste peculiarità fanno di Tahar Ben Jelloun un uomo di elevata statura morale e dotato di un innato senso del giusto, che lo porta a scoprire ogni minima sfaccettatura dell’essere umano. È un perfetto esempio di scrittore sociale, e l’autore stesso lo ammette in occasione del succitato festival DEDICA di Pordenone: «Sono uno scrittore coinvolto nella società: quando c’è uno scandalo o un’ingiustizia, non posso tacere, comincio a scrivere. La letteratura non può cambiare il mondo, ma il silenzio è un’intollerabile complicità».