DON FRANCESCO CONVERTINI,

Dono prezioso anche per la Diocesi di Ivrea

Giuseppe Sciavilla, 08.02.2017

IVREA – Risuonavano le Beatitudinirivelazione piena del Volto e del Cuore di Cristo, proposta di vita a cui è legata la vera felicitànel Vangelo di domenica scorsa, quando in Cattedrale abbiamo celebrato la festa di Don Bosco con tutta la Famiglia dell’Istituto “Cagliero” che celebra il 125.mo anniversario di fondazione.

Abbiamo guardato a Don Bosco, che continua anche dal Paradiso la sua opera di padre e maestro, ricordando un suo figlio, allievo del “Cagliero” e poi missionario in India:don Francesco Convertinidi cui pochi giorni fa, il 21 gennaio, Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche e dichiarato Venerabile: a luicome già al Beato Mario Borzaga, studente nel Collegio dei PP. Oblati a S. Giorgio Canavese, missionario martire in Laos, beatificato lo scorso dicembre ho presentato l’omaggio della nostra diocesi come a uno dei santi religiosi che hanno seminato benedizione con il loro passaggio tra noi.

Francesco era nato in Puglia, in un trullo di Cisternino, il 29 agosto 1898, da una povera famiglia. A tre anni perse il padre e a undici la madre, che fece in tempo, però, ad insegnargli il Rosario e l’impostazione di vita che egli seguirà fino alla fine: «Metti amore, metti amore» in ogni cosa che fai.  Lavorò la terra finché la prima Guerra mondiale lo chiamò al fronte; fu deportato in un campo di prigionia in Polonia; al rientro, fu colpito da meningite e ricoverato in isolamento a Cuneo; scampato alla morte e guarito per intercessione dei santi medici Cosma e Damiano, conobbe dalle sue parti una ragazza di cui si innamorò; pensando al matrimonio fece firma per un triennio nella Guardia di Finanza e mandato a Trieste, a Pola e infine a Torino.

Qui Don Bosco lo aspettava, al santuario di Maria Ausiliatrice, dove  si era recato, appena giunto in città, e si era accostato, per confessarsi, al primo sacerdote che aveva trovato. Tornò da don Amadei altre volte a confessarsi, a parlargli, a sentire raccontare, nel cortile dell’Oratorio, la storia di Don Bosco. Il 23 ottobre 1923, in occasione del commovente addio a undici missionari salesiani che partivano per l’India, don Amadei, ammirato della semplicità di questo giovane finanziere, devoto, generoso, gli disse: «Perché non diventi missionario anche tu?».

Francesco, anche per via della “morosa”, andò in crisi; ma quando capì che a questo il Signore lo chiamava, non esitò: il 6 dicembre 1923 è al “Cagliero” ad affrontare lo studio: scarse le doti intellettuali, ma la volontà era quella tenace con cui aveva zappato, falciato, andato all’assalto con la baionetta… Nel 1927 fu destinato all’India, dove la sua scuola furono santi missionari salesiani che là operavano: don Vendrame in particolare (anch’egli in processo di beatificazione), da cui apprese a fare il missionario, ma soprattutto a farsi santo.

Ordinato sacerdote a 37 anni, il 29 giugno 1935, fu destinato a Krishnagar, una diocesi poverissima, di sei milioni di abitanti, metà musulmani e metà indù; i cattolici uno su mille; 12.500 villaggi … Si mise in cammino a cavallo, in bicicletta, ma soprattutto a piedi, con lo zaino in spalla perché poteva in tal modo incontrare tanta gente e parlare di Cristo. Con semplicità disarmante, con un costante sorriso ed una serenità mai incrinata, entrava nelle capanne; predicava con le opere della carità; annunciava il Vangelo ripetendo semplicemente le grandi verità della fede cristiana. Si conquistò l’ammirazione e l’affetto di tutti: dei pagani come dei cristiani. Non si contano le conversioni. 

I superiori lo mandarono in Italia la prima volta nel 1952dopo trent’anni di lavoroe poi ancora, dopo altri ventidue, nel 1974: don Francesco rimase sconvolto al vedere che il Rosario non si recitava più nelle famiglie e tanto pane veniva gettato, mentre i suoi bambini bengalesi morivano di fame.

Il suo cuore da tempo aveva cominciato a cedere: con un cuore in quelle condizioni – gli disse il cardiologo che lo visitò in Italia nel ‘74 – ogni giorno di vita è un miracolo. Ma don Francesco non si fermò: volle ritornare a Krishnagara a continuare la missione. E la continuò con lo stesso slancio fino all’11 febbraio 1976: la Madonna venne a prenderlo nella festa dell’Apparizione a Lourdes. Le sue ultime parole furono: «Madre mia, non ti ho mai dispiaciuto in vita… ora, aiutami!».

La fama di santità lo circondò già in vita, anche per tanti prodigiosi episodi testimoniati da cristiani e pagani. Un povero in spirito, puro di cuore, mite, misericordioso, operatore di pace, servo per amore di Cristo e dei fratelli. Uno splendido testimone del Vangelo delle Beatitudini, alla scuola di Don Bosco.