ASPETTANDO LINGUA MADRE 2017, LA PAROLA A LUISA ZHOU

La giovane studentessa cinese, vincitrice del concorso Slow Food – Terra Madre di Lingua Madre 2016, si racconta

Federico Rudian, 07.02.2017

TORINO – Con la chiusura ufficiale della XXII edizione di Lingua Madre, il 30 gennaio scorso, non resta che attendere il nome dei vincitori di quest’anno. Con grande fortuna, Il Videogiornale sembra poter giocare in casa, con Luisa Zhou, tirocinante del corso di Giornalismo Multimediale dell’Università di Torino e vincitrice del concorso Slow Food – Terra Madredi Lingua Madre 2016.

Un tema, quello di cui ha scritto nel suo racconto (S)corri nelle mie vene. Sottopelle carico di significato, anche personale, che richiama la commistione di culture lontane ma in fondo vicine. L’esigenza di partecipare al concorso letterario le è nata dal suo rapporto con la scrittura, un mezzo di comunicazione ma anche un mezzo di introspezione profonda, in particolare in questo caso: “È il racconto più autobiografico che abbia mai scritto, e per questo sono stata indecisa fino all’ultimo se pubblicarlo o meno”.

Una volta accettata la sfida, si è lanciata nella scelta del titolo, assolutamente non casuale e ricco di interpretazioni: ispirato ad una canzone degli Of Monsters and Men, quello scorrere non è riferito solo alle tradizioni, ma anche alla cultura, alle origini, alla corsa dei lupi (il suo animale preferito, ndr), in un significato circolare al cui centro si può intravedere il processo di riflessione che questa opera ha comportato.

Nel suo elaborato, la studentessa parla della Cina attraverso quelle che lei definisce le sue “due anime”. Da una parte troviamo il lato rurale e antico di Yuhu, nella parte centrale del paese, di cui è originaria gran parte della comunità cinese di Torino, tra cui i suoi genitori. Dall’altra, la zona moderna e caotica di Hangzhou, grande metropoli orientale con affaccio sul Giappone, in cui la Zhou ha trascorso un anno sabbatico a studiare il cinese.

Due facce della stessa medaglia: la prima, protagonista del racconto, vissuta in un contesto familiare, la seconda vissuta da sola in una grande città con un processo di crescita personale e di affrancamento dal nucleo familiare, con tutte le differenze sperimentate tra le cosiddette “due Cine”, dalla superstizione diffusa nelle campagne, alla feroce concorrenza lavorativa dei grandi centri urbani.

Molto tangibile la presenza dei suoi genitori, trasferitisi in Italia da giovani e testimoni di uno shock culturale che fa ancora fatica ad essere riassorbito dalla normalità della multiculturalità e che riaffiora quando alla ragazza fanno notare che si comporta “da italiana”piuttosto che “da vera cinese”.

Cosa significa essere “cinese”, dunque? La risposta sembra essere documentata dal fratello della Zhou, tornato cambiato dal suo anno sabbatico in Cina, dove ha abbracciato la mentalità lavorativa cinese che identifica il successo con l’essere a capo di un’impresa, pressione che è andata ad aggiungersi a quelle già presenti sul primogenito maschio.

Da parte sua, Luisa si identifica nell’essere cinese almeno per quanto riguarda la cultura del cibo: “Mi piace molto la convivialità, racchiusa nell’uso comune di una tavola rotonda imbastita di grandi portate da passare – racconta – e condividere con tutti i commensali, senza le limitazioni della porzione singola più tipiche dell’Europa”.

Il cibo è senza dubbio una sua passione, testimoniata dal fatto che la giovane ha preso parte al laboratorio teatrale La Giovine Italia, di richiamo mazziniano, che unisce donne di tutto il mondo per accostare, attraverso il teatro, realtà culturali diverse ed in continua evoluzione, anche attraverso il cibo. Momenti conviviali che la ragazza ricorda con piacere: “Ognuna di noi portava qualcosa di tipico, in una condivisione che richiama quella a cui sono abituata e che apprezzo”.

D’altronde, “non c’è uomo che non possa bere o mangiare, ma sono in pochi in grado di capire che cosa abbia sapore”, afferma Confucio. Provare per credere.