AMERIGO VIGLIERMO, IL CANTORE DELLE GENTI

Con il suo coro Bajolese canta l’Italia popolare

Romina Deputato, 11.12.2016          FOTOGALLERY

TORINO – “Il canto è qualcosa di sacro, mostra la parola come fonte di vita: queste le parole di Amerigo Vigliermo, presidente e maestro del Coro Bajolese, pronunciate durante il concerto svoltosi al Polo del 900 per la Xª Edizione della giornata italiana della cultura popolare. Per il suo cinquantesimo anniversario, il coro Bajolese ha deciso di portare la sua voce in giro per il territorio piemontese – e canavesano in particolare – partendo dall’esibizione del 22 ottobre al teatro Angelo Burbatti di Montalto Dora e terminando proprio al Polo del 900 di Torino. Uno spettacolo emozionante, che cerca di ripercorrere alcune tappe fondamentali della “storia di Torino attraverso il canto”.

L’esibizione, intervallata da commenti e spiegazioni di Amerigo Vigliermo, si apre con il canto Noi siamo piemontesi, dedicato al grande re Carlo Alberto, “un re buono, anche se ha perso tante battaglie”. Oltre agli statuti albertini e alla libertà di culto ai valdesi, il presidente ricorda la fondazione dell’Agenzia di Pollenzo: Carlo Alberto intuì le potenzialità agricole di questo paesino del cuneese e chiamò “enologi francesi perché istruissero i vinaioli delle Langhe a fare e a conservare il vino buono”. Vengono rievocate le lotte degli operai torinesi che, all’inizio del Novecento, cominciarono a farsi riconoscere nella società e a comporre i loro canti, aggiungendo parole nuove alle melodie che i grandi maestri del Teatro Regio insegnavano loro.

Dopo la proiezione di un video che rievoca le situazioni e i paesaggi in cui i vari canti hanno preso vita, Amerigo Vigliermo intona il canto Mi sovviene, accompagnandolo con una suggestiva spiegazione. Mi sovviene prende vita grazie a un coro di preti russi, che portavano in giro per l’Italia alcuni canti popolari, tra cui Il postiglione. Delle ragazze di Grosso hanno poi “cercato di riprodurre la melodia del coro russo”, creando così il meraviglioso canto. Particolare attenzione viene dedicata al fenomeno dei cantacronaca, intellettuali che fino ai primi anni Sessanta diventano testimoni della realtà di quel tempo. Illustri sono i personaggi che vi aderiscono: Italo Calvino, Umberto Eco, Gianni Rodari… con un’attività intensa e illuminante, soprattutto per il Coro Bajolese che prende vita nel 1966. L’idea del maestro Vigliermo era quella di “utilizzare la musica e il canto quale mezzo di unione, proprio come era avvenuto per gli operai reclutati negli eserciti”, dialettofoni che non parlavano italiano e che creavano così una vera e propria koinè. Racconta poi come, una o due volte alla settimana, i cantori si riuniscano per stare insieme e con un pizzico d’orgoglio esulta: “siamo un po’ missionari: raccogliamo i messaggi che ci arrivano e li divulghiamo tra la gente”.

Il Coro Bajolese si pone in discussione, rompe con gli stilemi di armonizzazione tipici dei cori alpini – che inevitabilmente finiscono per diventare simili l’uno all’altro – e si basa su unmodo spontaneo di cantare”, senza troppi artifici e finzioni. È proprio questa qualità che porta il Coro ad essere riconosciuto in tutto il mondo e ad esibirsi in paesi tra loro distanti culturalmente e geograficamente, come Ungheria, Palestina, Israele, Spagna… Ogni loro esibizione si presenta come una “veglia contadina”, una trasmissione orizzontale della cultura, che dalla bocca di chi parla – o in questo caso specifico, di chi canta – arriva alle orecchie attente degli ascoltatori, pronti ad assorbire ogni parola di quei canti che, “proprio come Gesù Cristo, sono nati in una stalla”. Ma non solo: i loro canti sono anche l’espressione di empatia, di radicamento nel territorio, elemento fondamentale per il successo e per la passione che anima il Coro a 50 anni dalla sua nascita; infatti, come affermava Cesare Pavese: avere una tradizione non significa nulla, bisogna viverla”.

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Fotogallery di Carlo Cretella

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