ARTURO PAOLI E LA SPIRITUALITÀ SOCIALE

L’esempio di un religioso fuori della righe nelle pagine di “Profeta in Vaticano”

Fabrizio Prelini, 18.02.2017                FOTOGALLERY

Torino – Sembra più un incontro fra vecchi amici che un evento formale la presentazione di Profeta in Vaticano- Arturo Paoli e la Gioventù Cattolica Italiana (ed. Dehoniane, Bologna, 329 pagine, 28€), il nuovo volume curato da Sergio Soave e introdotto dallo storico venerdì 20 gennaio scorso al Polo del ‘900, di cui è Presidente dalla scorsa primavera.

Con lui, a presiedere l’evento organizzato dalla fondazione Donat-Cattin, Emmanuele Milano, giornalista ed ex direttore di Rai e Telemontecarlo, Mauro Forno, professore associato di studi storici dell’Università di Torino, e Luca Rolandi, collaboratore della diocesi cittadina nonché segretario nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) fra il 1989 e il 1992. Assente il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi.

Dopo un saluto a nome della Fondazione da parte di Giorgio Aimetti, la parola passa al diretto interessato: la proiezione di un’intervista, dal documentario realizzato per i 140 anni di Azione Cattolica (2007) dallo stesso Rolandi insieme a Paolo Pellegrino e Sante Altizio, permette a Paoli stesso di presentarsi.

La lunga e intensa vita dell’ultracentenario religioso è una vera epopea: formatosi accademicamente fra Pisa e Milano, trova la vocazione nella sua natale Lucca, dove partecipa attivamente alla resistenza (è stato riconosciuto Giusto fra le Nazioni dallo stato di Israele), prima di venire richiamato a Roma sotto l’egida dell’Azione Cattolica nel 1949. I contrasti con l’autorità centrale, vera costante della vita del religioso – finito anche nel mirino del peronismo in Argentina – si manifestano qui per la prima volta negli scontri con il presidente dell’AC Luigi Gedda, e nonostante l’appoggio del monsignor Giovan Battista Montini, Paoli viene dimesso dall’incarico nel 1954.

La chiusura di questo percorso inaugura quasi mezzo secolo di missioni internazionali, intervallate da periodici ritorni in Italia, a partire dalla collaborazione con i minatori sardi del 1957. Formatosi come piccolo fratello in Algeria nei giorni della lotta per l’indipendenza, questa l’uomo trascorre anni nel Sudamerica dilaniato dalle dittature, non solo nella sopraccitata Argentina ma anche in Brasile, passando per il Venezuela. Ritorna infine a Lucca, “per volontà di Dio” tramite l’arcivescovo della città, dove resta poi fino alla morte nel 2015.

Nonostante la breve durata dell’estratto trattato durante la presentazione, anche chi non ha conosciuto Paoli in vita può farsi un’idea della sua spontanea umanità e della natura vigorosa e profonda della fede che ha animato il suo percorso, una fede manifestatasi nel suo operato concreto fino agli ultimi giorni e che nemmeno gli aspri disaccordi con la Chiesa hanno mai messo in discussione.

L’intervento del professor Forno, interessatosi a Paoli grazie al libro di Soave, sottolinea la modernità del religioso fin dai tempi della GIAC (Gioventù Italiana d’Azione Cattolica) e loda la competenza dell’autore, irrobustita da una “lunga militanza politica”che ne fa “l’uomo (…) capace di cogliere risvolti, aspetti, sensibilità che forse ad altri osservatori (…) politicamente meno avvertiti di lui possono in qualche maniera sfuggire”.

L’interesse dello storico si focalizza poi sugli anni di Paoli alla GIAC sotto le presidenze di Carlo Carretto e Mario Rossi nel difficile contesto sociopolitico di quell’epoca. Rilevante fu infatti il conflitto fra l’apoliticità promossa da Rossi e l’impegno anticomunista dell’AC di Gedda, che interpretava tale allontanamento come pretesa di autonomia. In realtà, espone Forno, l’opposizione si concretizzava maggiormente fra il tradizionalismo dell’AC e la riorganizzazione strutturale della GIAC, promossa dal presidente e dallo stesso Paoli, per fare fronte alla necessità di adeguarsi a una società in profonda trasformazione – un distacco bollato come eterodossia dottrinale e filocomunismo dalla dirigenza di Gedda.

Spetta a Emmanuele Milano, visibilmente emozionato durante la riproduzione del video introduttivo, a condividere con altrettanto trasporto i suoi ricordi personali con il pubblico, a partire dalla propria attività nell’ambito studentesco a fianco di figure come Umberto Eco e Furio Colombo.

“Ogni momento mi si risvegliava un’immagine, una situazione (…) al di là dei grandi problemi generali”: così Milano riassume le sensazioni provate leggendo il volume, offrendo forse la più efficace approvazione a tale lavoro di ricerca attraverso lo sguardo vivo di chi ha vissuto quegli eventi in prima persona. Proprio alcuni protagonisti dell’AC rivivono attraverso i ricordi dell’ex giornalista in un’ottica lontana dall’analisi storica: significativo è l’aneddoto di un giovane Carretto che, per sottolineare che “vivere senza Dio è come guidare a fari spenti di notte”, spegne appunto le luci dell’auto da lui guidata in quella situazione lungo una tortuosa strada fra i boschi, o l’audacia con cui il segretario di Mario Rossi rispose “tutte balle, Santità” ai timori sull’avanzata del comunismo espressi da papa Pio XII.

Meno faceto è il tono riservato ad altri episodi come l’abbandono della GIAC dell’intera presidenza legata a Rossi a causa dei contrasti con la linea di Gedda; Milano evita di farne una questione politica e sottolinea invece la bontà delle intenzioni del suo gruppo, che visse questo distacco non come una sconfitta diplomatica ma una dolorosa disparità fra intenzioni e risultati.

La figura di Paoli si inserisce nel racconto con una citazione che sembra anticipare di un cinquantennio l’ormai celebre monito di papa Bergoglio sul “non guardare la vita dal balcone”: “affacciatevi alle finestre, guardate nel mondo, guardate quello che succede invece di restare troppo concentrati sul vostro giardino; andate un po’ a portare Cristo nel mondo”, un esempio che riempì di entusiasmo Milano e i suoi coetanei a livello umano, lontano da ogni sterile dogmatismo.

L’ultimo ricordo di Paoli che chiude questo lungo intervento è forse il momento più toccante del convegno: vedendo il sorriso che il religioso mostra a lui e sua moglie mentre si congedano, Milano le confida “non ci voglio tornare più; voglio conservare questo fotogramma per il titolo “fine”, perché era un sorriso come una benedizione”.

Il lungo intervento conclusivo spetta all’autore e alla sua speranza che la straordinaria umanità di Paoli possa rivivere per le nuove generazioni; trova anche spazio l’operato di Montini, vero traghettatore della Chiesa attraverso gli anni del fascismo e del dopoguerra, rimasto poi isolato nei dissidi fra FUCI/GIAC e Gedda. In mezzo a tanti conflitti di interessi, Paoli emerge quasi suo malgrado nel suo modo per certi versi ingenuo di approcciarsi alla realtà del mondo, emanazione diretta del suo modo di intendere la spiritualità, al punto da intuire prima ancora della rottura con la presidenza dell’AC che la sua vocazione lo avrebbe inevitabilmente allontanato da Roma in tutti i sensi.

L’incontro e l’abbraccio fra Paoli e Papa Francesco è il momento che rappresenta la riconciliazione fra il presbitero errante e l’autorità cattolica centrale con cui Soave sceglie di chiudere significativamente la sua presentazione.

Oltre che efficace come opera autonoma, Profeta in Vaticanosi inserisce in una serie di iniziative curate dal Fondo Documentazione Arturo Paoli di Lucca che conta fra i suoi progetti la riedizione di numerose opere della vastissima produzione del religioso in una catalogazione che ne segua da vicino lo straordinario percorso umano e spirituale.

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