IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

Il totalitarismo della fede

Editoriale di Davide Ghezzo – 25 agosto 2013

Sbaglia chi crede che il pontificato di Papa Francesco segni una rottura con la tradizione magistrale della Chiesa, e che si appresti a produrre enunciati e proposizioni che sovvertano il senso morale consolidato in due millenni di storia, pur attraverso le profanazioni operate da figure indegne di tramandare il messaggio di Gesù.

Al contrario il nuovo Papa lavora nel solco indicato dai luminosi pontefici degli ultimi decenni. Egli ha la fortuna di potersi consultare spesso col predecessore, il papa emerito Benedetto, che considera il nonno saggio residente in casa. Non a caso l’enciclica Lumen fidei, che a un solo mese dall’uscita ha già superato le 200.000 copie vendute (come e meglio dell’ultimo Ken Follett, o John Grisham), appare firmata assieme dai due papi, il reggente e l’emerito. Si può persino giungere ad affermare, senza nulla togliere a Francesco, che il grosso del lavoro è opera di Benedetto, mentre il successore ha compiuto interventi a carattere diremmo redazionale, sia pure ad altissimo livello.

Non a caso Joseph Ratzinger passerà alla storia della Chiesa in primo luogo come profondo studioso e fine teologo; ma anche per la sua abdicazione, di cui ha chiarito che gli è stata chiesta da Dio. Non nel senso di una squarciante esperienza mistica (non troppo di moda negli ambienti circostanti), ma di una voce interiore che lo ha chiamato sul monte, più vicino a sé, più lontano dal rumore del mondo. Benedetto ha obbedito, e si è reso conto di aver fatto la cosa giusta anche quando – parole sue – ha potuto osservare da vicino il carisma di Bergoglio.

E qui entra in gioco il fattore nuovo, il ‘ciclone chiamato Francesco’. Un uomo semplice e affabile, ‘disordinato’ come si è autodefinito nell’incontro con i calciatori delle nazionali italiana e argentina. Ma da questo disordine emerge un volto sorridente, una mano rivolta ad accogliere, carezzare, stringere idealmente a sé l’umanità intera.

Uno degli impegni quotidiani di Bergoglio è quello di cercare, generalmente per telefono, persone che gli hanno scritto per ottenere un colloquio o un incontro. Ha telefonato all’edicolante, al macellaio; a persone colpite da lutti e violenze; a studenti desiderosi semplicemente di una parola di incoraggiamento per il loro impegno di tutti i giorni. A tutti costoro egli dice: “Ciao, sono il Papa, diamoci del tu.” Perché persino coloro che attorniavano Gesù, cioè gli Apostoli, gli si rivolgevano con la familiarità dovuta a un amico.

E’ questa la grande forza pastorale del Papa. Con un impegno quotidiano strenuo, egli ci fa capire che il messaggio di Cristo, mediato da uomini scelti dall’alto (perché il Papa è eletto dai cardinali, ma le indicazioni di voto sono date dallo Spirito Santo, che aleggia perennemente nel Conclave), è rivolto a tutti gli uomini, fino al più derelitto e reietto da tutti. In questo senso la fede, come dono della Grazia, è offerta totalitaria, cui ognuno può accedere, da qualunque remoto angolo del pianeta come dalla coscienza più devastata. Nell’angolo più buio di un carcere, nella capanna più miserevole di tutta l’Africa, così come nel salotto in più immune all’influsso di una parola a sfondo religioso, si può accendere da un momento all’altro quella scintilla che, trasformatasi in fuoco luminoso, può purificare l’intimità dell’uomo, e rischiararne il cammino a venire, nella giusta direzione indicata dal messaggio evangelico.

Si fa più festa per una pecorella smarrita e ritrovata che per le novantanove che sono rimaste al loro posto. Il Papa lavora duramente per la prima, e insieme indica la strada alle altre, vale a dire – speriamo – a tutti noi.