IL PUNTO SU PAPA FRANCESCO

La Cultura Del Dialogo

Editoriale di Davide Ghezzo – 17 novembre 2013

Tra Italia e Vaticano non è sempre corso buon sangue, ma allo stato attuale i rapporti si possono definire eccellenti.

Rendendo visita al presidente Napolitano nella sua sede deputata, il palazzo del Quirinale, Papa Francesco ricambia la cortesia ricevuta lo scorso giugno, quando fu la massima autorità politica italiana a recarsi in Vaticano, e conferma la sintonia di vedute e persino una certa sinergia – ferma restando la distinzione degli ambiti in cui le due realtà si muovono, religiosa l’una laica l’altra – che si va creando in questi momenti difficili per la società civile, perlomeno occidentale (ma se ci guardiamo attorno, nel resto del mondo sembra che si continui a vivere complessivamente peggio).

Nel suo discorso ufficiale il pontefice ha sottolineato la comunanza di intenti tra le due nazioni, volte entrambe ai temi della giustizia e del riequilibrio sociale, obiettivi difficili e complessi se ci mettiamo davanti agli occhi la fame di lavoro di moltissime persone, e soprattutto dei giovani. Perché se questo bisogno non viene soddisfatto, allora purtroppo si avvicina la fame tout court, ovvero una condizione in cui la dignità dell’uomo viene meno – come già succede nelle plaghe di miseria ancora disseminate nell’ecumene terrestre.

In sintesi efficace Papa Francesco  ha ricordato le tappe salienti delle relazioni tra Stato italiano e Chiesa cattolica, che dopo i decenni di gelo seguiti alla conquista politico-militare del 1870 si ricomposero coi Patti Lateranensi del 1929, poi confermati e ampliati nel 1984, grazie a Giovanni Paolo II e al bistrattato Bettino Craxi.

In anni recenti, per la verità, si sono levate voci accusatorie nei confronti degli alti vertici ecclesiastici, accusati di non mantenere la giusta equidistanza nei confronti delle parti politiche in perenne conflitto in Italia, genericamente definibili come centro-destra e centro-sinistra. La critica era rivolta, per intenderci, alla Chiesa di Ruini e Bertone, ovvero le figure cardinalizie di maggior spicco, che spesso intervenivano con una certa decisione – più di quella che si avvertiva nelle parole del mite e pacifico Benedetto XVI – su temi di rilievo del dibattito civile e politico, come quello, spinoso, dell’equiparazione tra scuola pubblica e privata; avvicinandosi un po’ troppo, secondo certuni, alle posizioni destrorse, favorevoli al sostegno pubblico – economico e giuridico – nei confronti dell’istruzione privata.

Nessuna accusa del genere può essere rivolta a Papa Francesco, che anzi, rileva un commentatore, ha vellicato l’antica anima comunista di Giorgio Napolitano. Quest’ultimo ha rilevato come la cultura del dialogo permei l’intera attività del Papa, e resti invece carente se non latitante nel mondo politico e istituzionale del paese di cui egli occupa la massima carica. Troppo spesso i nostri politici assomigliano a galline in un pollaio, pronte al battibecco e allo scontro, anche perché incapaci di una visione un poco più lungimirante. In questo senso, Papa Francesco dimostra specifiche doti politiche, superiori a quelle di tutti i nostri parlamentari.

Resta chiaro a tutte le menti obiettive e scevre da pregiudizio che gli interventi e le valutazioni del pontefice non hanno la benché minima connotazione e collocazione partitica; la sua voce si leva, più semplicemente e universalmente, a favore dell’umano, della dignità e spiritualità cui tutti abbiamo diritto. Diceva Terenzio, commediografo latino ingiustamente trascurato, “homo sum: nihil humani a me alienum puto”:  Sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo.

Si tratta di una considerazione laica che sarebbe di sicuro condivisa dal Papa (uomo di lettere che invitò Jorge Luis Borges a parlare durante le sue ore di lezione), e che si colloca anni-luce al di sopra delle beghe partigiane di cui si nutre il vano mondo politico del nostro Paese. Che poi il pontefice, e chi lo segue, abbiano delle carte in più da giocare, degli assi nella manica che sparigliano la situazione, è discorso diverso, cui si riservano altre sedi e altri interlocutori.