L’AMORE PER L’UOMO E TRA GLI UOMINI E’ IL SOGNO DI DIO

Ancora per mettere Gesù alla prova, i farisei pongono la domanda: “Rabbi, qual’ è il più grande comandamento dei 613 precetti della Torah?

Gesù risponde unendo i due comandamenti: “Amerai Adonai con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze (Dt. 6, 5) e amerai il prossimo come te stesso. Io sono Adonai (Lev. 19,18)”.

La comunità di Giovanni, verso il 100 d.C., nella redazione della lettera, commenta: “Chi infatti non ama il prossimo che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv. 4, 2) e Sant’Agostino nella De civitate Dei (413-426 d.C.): “L’amore con cui si ama il prossimo non è diverso da quello con cui si ama Dio”.

Dire prossimo significa dire “mi è vicino, mi è accanto” e può essere detto di tutte le persone con cui abitiamo la casa, la città, il paese, il mondo. Di queste persone con cui abitiamo, abbiamo bisogno per vivere. La relazione d’amore converte la distanza in prossimità. Le persone sono singoli volti, differenti, ricchi ognuno di identità e di storia, di pregi e difetti. Ogni persona che mi rivolge lo sguardo è altro da me e,  perché si stabilisca una vera relazione affettiva, deve rimanere altro. Ciò che opera la relazione è rendere l’altro a me vicino e, per l’appunto, prossimo. La stessa relazione comunica un modo differenziato di intesa, più vicino con le persone che amo, più distanziato con amici, conoscenti, concittadini, uomini del mondo.

Quella stessa relazione d’amore si articola storicamente con tre forme di prossimità. La prima è una forma riflessiva verso me stesso, come persona che ama se stessa perché amata e creata a immagine di Dio. Anche in questo caso si opera una breve distanza tra me e me stesso, una zona di rispetto che permette un’autocoscienza animata da una libera accoglienza affettiva, lontana da turbamento, angoscia, depressione.

La seconda forma di prossimità è dialogica verso e davanti agli altri. Nel caso dico a me stesso: “Tieni conto che davanti a te c’è un volto, ci sono dei volti, esseri umani come te, che meritano tutta la cura che tu hai per te stesso”. Si potrebbe riformulare il comandamento così: ama il prossimo tuo, è un altro te stesso.

La terza relazione è una relazione creaturale verso tutto il creato a noi affidato. Tale relazione modifica l’atteggiamento da consumistico-distruttivo in un atteggiamento di rispetto e cura.

Questa complessa realtà di forme richiede, da parte di ciascuno di noi, “l’arte di amare” e, si sa, l’arte è educazione e formazione di una attitudine attraverso l’esercizio. E’ abbastanza curioso che mentre ciascuno di noi si impegna a imparare mestiere, modelli di cura, progettazione e messa in opera di quasi tutto di ciò che fa la nostra storia, spesso dimentica l’arte di amare, con l’ingenua presunzione di saper amare per movimento spontaneo.

Queste tre forme di prossimità vivono e operano sotto il cielo della misericordia. Merita proprio oggi, 29 ottobre 2017, ricordare Lutero che, 500 anni fa il 31 ottobre 1517, affisse – storia e leggenda! – alla porta della chiesa del castello di Wittemberg le 95 tesi sulla necessaria riforma della Chiesa. Pieno di fede e di tormenti non riconosce più “l’arte di amare” di questa sua Chiesa, incorsa in una serie di leggi non ispirate all’amore, ma ad un concetto di giustizia severa e a volte inquinate da ingiustizia, che quasi quasi stabiliscono delle “polizze” a vita per l’incontro con Dio. Lutero conserva una visione semplice e veritiera del sapersi amato da Dio: “La misericordia di Dio è come il cielo che rimane sempre fermo sopra di noi. Sotto questo tetto siamo al sicuro dovunque ci troviamo”.

Se poi volessimo allargare la riflessione all’oggi, vale la pena di leggere l’ultimo scritto di Alessandro D’Avenia: “Ogni storia è una storia d’amore”. (Mondadori)

Ivrea, 29 ottobre 2017   –  don Renzo