21 febbraio 2016 – II Domenica di Quaresima

TRASFIGURAZIONE: NELL’UOMO IL FIGLIO (Lc. 9, 28-36)

Un picco di esperienza

Don Renzo GAMERRO

La trasfigurazione sul monte è il racconto di una visione, come quando Dante si racconta nella Cantica del Paradiso.

Gesù prende con sé Pietro, Giovanni e Giacomo, tre discepoli amici, che da mesi vivono quotidianamente con lui, e li fa salire sul monte. I tre hanno incontrato il Rabbi Gesù, loro conterraneo, e in Lui hanno incontrato un “uomo di Dio”, che vive con dignità, amorevolezza, bontà, misericordia. Il parlare di quel Rabbi è una “Buona Novella”, veritativa e rivelativa perché in Parabole Egli racconta un Dio con noi.

Ed ecco un giorno la “visione”. Là sul monte, mentre quel Rabbi prega in colloquio con il Padre suo, quel loro amico “trasfigurato”: la veste bianca e sfolgorante che lascia intravedere la gloria del Risorto, accanto i due profeti del Patto antico Mosè ed Elia, una nube che tutto avvolge e l’eco di una voce: “Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo!”. Stupore e torpore, tutto in silenzio.

Appena Pietro esce dal torpore, il silenzio si apre: “E’ bello per noi essere qui… facciamo tre tende”. Pietro vorrebbe fermare l’istante della visone, questo picco di esperienza che riempie di meraviglia occhi e cuore. Occorre invece lasciare il monte e tornare alla quotidianità. Quel picco di esperienza e quella visione segnano i tre: hanno intravisto chi è quel Rabbi che vive un rapporto intensissimo con Dio, un rapporto figliale. Il Padre suo tutto Amore vive e opera in quel caro amico, che prende sempre più coscienza di essere Figlio e Figlio si fa. Una realtà in atto e in crescita ogni giorno, perché quel Gesù-Figlio dell’Amore ogni giorno fa di sé stesso un dono agli uomini e a Dio. Gesù, Figlio dell’Amore, si fa nella sua vita amore donato. Sul monte l’hanno visto questo Amore grondante vita, questa bellezza che supera ogni dire e per tanto godono l’istante di felicità: “E’ bello per noi stare qui”.

Mentre leggiamo questa pagina di bellezza, sentiamo, dalle parole lette, l’invito a fermarci in silenzio e a immaginare la visione, anzitutto una visione di noi stessi. Se sostiamo in silenzio scorre davanti a noi questa visone: chi siamo, cosa vorremmo essere? E allora si apre il cielo dei desideri.

Se poi facciamo scorrere, davanti alla visone di noi stessi, quella visone, ecco chi siamo: anche noi figli, non adottivi, ma figli veri. Già siamo figli di Dio e ancora “figli da farsi” perché, la figliolanza nel tempo si costruisce giorno dopo giorno. Siamo figli come il piccolo dell’uomo è già uomo nel grembo materno e ancora in gestazione. Anche la nostra figliolanza divina è in gestazione, perché ogni giorno ci facciamo figli.

Questa è la nostra identità: fatti a immagine di Dio, ogni giorno disegniamo la nostra somiglianza con l’Amore. In questo nostro “farci figli” è però in gioco la nostra decisione libera, la nostra povertà, la possibilità di rifiuto, la lotta quotidiana con chi tenta di smentire la nostra identità, l’anti-amore egoistico accovacciato alla porta della nostra coscienza.

Quando vince l’amore ci ritroviamo figli amorevoli e misericordiosi e quanti vivono con noi li sentiamo fratelli. Allora si apre il cielo del nostro desiderio più autentico che svela chi veramente siamo e dovremmo essere, appunto figli e fratelli.

E’ bello allora vivere insieme, anticipando come Gesù e con Gesù nella storia, uno squarcio di Regno, un picco di esperienza, la trasfigurazione.