“LA PARTE DEL DIAVOLO”

È il romanzo di Emmanuelle de Villepin sul tema: « Tre donne e tre generazioni a confronto»

Eleonora Cappati, 28.05.2016

TORINO – Domenica 15 maggio 2016 al Salone del Libro di Torino la scrittrice ha presentato il suo ultimo libro: “La parte del diavolo”. Nella sala del Caffè Letterario, allestita in occasione dell’ormai celebre manifestazione culturale torinese, l’autrice ha dialogato con Gad Lerner e Lella Costa, svelando le meraviglie racchiuse nella sua opera.

«Tre donne e tre generazioni a confronto»: in queste poche parole Emmanuelle racchiude l’essenza del suo racconto. La storia, avvincente ed emozionante, ruota attorno alla vita di Christiane, un’anziana donna di 86 anni che, dopo aver vissuto innumerevoli esperienze, decide di parlare di sé e della relazione che ha con la figlia Cathrine, e la nipote Luna. In questa storia declinata tutta al femminile, piena d’amore e tenerezza, tre vite, tre generazioni diverse, -nonna, mamma e nipote-  si scontrano e si confrontano scoprendo, alla fine, di essere indispensabili l’una l’altra.

«Edulcorare il dolore delle vicende, della storia e della vita dei personaggi è una caratteristica di Emmanuelle – afferma Gad Lerner nel suo commento – in ciascuno dei tuoi libri, infatti, è presente il dramma novecentesco e la Storia che diventa tragedia.  Nel “Tempo di fuga” c’è la deportazione nazista, ma al tempo stesso le uova di Fabergè, in “La ragazza che non voleva morire”  c’è il dramma della Cecenia, ma anche il bel mondo parigino, e ne “La vita che scorre” c’è la fragilità e la disabilità, ma anche il castello fatato. Questo libro sfrutta, invece, le dinamiche generazionali della famiglia unendole alla tragedia della guerra».

Lella Costa definisce «appassionante la dinamica tra queste tre donne in cui prevale l’amore al femminile ma una parte importante è giocata anche dai personaggi maschili, che ne condizionano la vita con i loro tradimenti e continue infedeltà, anche se mai in modo completamente esplicito». 

E spiega l’autrice Emmanuelle con estrema semplicità e saggezza: «La storia di una donna passa attraverso gli amori, è per questo che pur essendo una storia al femminile, anche gli uomini giocano una parte importante, seppur implicitamente. L’estetica è, invece, una risposta alla vita e una necessità di tutti perché rende le cose più belle e più facili da affrontare». Aggiungendo che «Nel libro c’è anche una sorta di necessità di non abbandonare la dimensione fiabesca, forse come difesa dai drammi della realtà e della storia. Anche se certi drammi sono incontenibili e la bellezza a volte serve solo a rendere il tutto più accettabile».

Alla domanda se questo suo romanzo sia attinente alla sua vita, Emmanuelle risponde:  «Questo libro corrisponde alla necessità di fare i conti  con una parte della mia vita, per esempio con l’integralismo storico della famiglia bigotta e nazionalista in cui sono cresciuta. Mia  madre, invece, assomiglia molto alla protagonista del libro: indipendente e in parte testarda. Ho voluto scrivere questo libro anche come omaggio alla sua ribellione”.

Sul tema dell’infedeltà, invece, l’autrice lascia che sia la protagonista ottantaseienne Christiane,  donna acuta intelligente e estremamente spiritosa,  a rispondere al suo posto: «Il matrimonio è un concetto assolutamente megalomane. Amarsi tutta la vita passi, ma la fedeltà è pazzescamente ambiziosa. Il tradimento non è altro che curiosità legata a un po’ di amor proprio e non è che la necessità di un’isola. Appena la nave getta l’ancora infatti ricomincia a sognare l’oceano».

Sul rapporto madre – figlia Gad Lerner cita un passo del libro in cui la protagonista afferma il senso di responsabilità che prova per l’infelicità di Cathrine, criticando il senso di onnipotenza che le madri pensano di avere sui figli.

L’autrice, visibilmente emozionata di fronte a una delle sue tre figlie presente all’incontro, risponde di nuovo con le parole di Christiane: «Pensavo a Cathrine e non riuscivo a non sentirmi responsabile della sua tristezza. Il sentimento di onnipotenza delle madri è irrazionale ma resta il fatto che siamo noi ad aver messo al mondo i nostri bambini, sfido che poi ci diamo delle arie e soprattutto pensiamo che, una volta venuti al mondo, siano ancora nostra carne e che ci appartengano, quando in realtà non abbiamo fatto altro che traghettarli dal limbo alla Terra, li abbiamo aiutati a passare dallo spirito alla materia».

Lella Costa, in conclusione all’evento,  legge al pubblico la lettera che Cathrine scrive alla madre: «Sei così egocentrica che nulla di quello che gli altri provano per te ti sfugge mai. Ti ho sempre amata troppo, attribuendoti un potere che non avevi e odiandoti per avermi consegnata al mio destino. Ho vissuto il mio distacco come un tuo abbandono, la mia infanzia è stata troppo dolce perché non me la prendessi con te per la disgrazia di crescere. Grazie per essere tutto ciò che critico perché se no saresti un’altra, e non vorrei mai un’altra madre».