NEL TEMPO SI È ANDATA OFFUSCANDO  LA MEMORIA  SU SALVATOR GOTTA

Luciana Banchelli rivisita le opere dello scrittore e letterato di Montalto

DICEMBRE 2003

GIANNI FERRARO

«Chi mai potrà raccontare la sua storia attraverso momenti di gioia, inquietudine, turbamenti, senza offuscarne, né scalfirne minimamente la memoria?». Così  fluttuano i pensieri dinnanzi ai simulacri della morte, ed io, in una brumosa mattina di novembre, ero lì, al cimitero di Ivrea, davanti ad una lapide in pietra, che da ventitre anni ospita le spoglie di Salvator Gotta (1887-1980).

A poco a poco mi riaffioravano alla mente le letture dei suoi libri per ragazzi, che si erano accompagnate agli anni della mia adolescenza, ed in quel momento, avvertivo una sorta di resurrezione del suo mondo antico, ricco di sfumature e di crepuscolarismo piemontese: la nuvola dell’immortalità si stava adagiando anche su quel sepolcro. Mi guardavo attorno. Quel luogo pareva un grande giardino costellato da una variopinta moltitudine di fiori in onore dei cari defunti e a consolazione dei vivi.

«Nulla come la vita dei fiori porta direttamente a Dio»: scrive il Gotta ne Il piccolo giardiniere, un romanzo che avevo dimenticato ma che ora si riproponeva in quel luogo così calzante. Un trattato di giardinaggio che sconfina, quasi all’insaputa dell’autore, come egli stesso ammette, in un contesto mistico dove anche l’anno solare era sostituito dall’anno liturgico e dove i dodici capitoli del libro corrispondevano ai mesi dell’anno, riportando in calce brani tratti dal Vangelo.

«Umilissimamente, ma pienamente, noi abbiamo inteso, con questo libro, accogliere il Verbo di Dio in mezzo ai fiori», afferma Salvator Gotta nella sua stessa prefazione. Sull’altare della fede erano state deposte tutte le specie di fiori che Nostro Signore aveva creato, tanti fiori di uno splendido giardino!


E che dire dell’imponente catena montuosa che s’affaccia a nord ovest del camposanto eporediese? Egli era fiero di appartenere a quelle montagne, tanto da immortalarle nella toccante descrizione di Giacomino, Il piccolo alpino disperso e miracolosamente salvato dall’insidia dei ghiacci.

Il verde Canavese, Ivrea la bella, i laghi che ne mitigano il clima, furono fonte di ispirazione per un poeta della natura quale Gotta era. In Quieto vivere, raccolta di novelle, canta il mondo degli umili, la dedizione agli affetti familiari e verso il prossimo, i conflitti psicologici causati dalla guerra, ma anche il suo amore per gli animali. Racconti dall’avvincente contenuto che ci fanno capire immediatamente i valori profondi che egli intendeva trasmettere.

Nel ricordare la simpatica disquisizione tra Gotta ed un usignolo che soleva interferire col suo canto nell’ascolto di una conversazione radiofonica tra lo scrittore stesso e un’ascoltatrice della Valsesia, emerge il forte messaggio, così riassunto dall’autore stesso: «Vorrei che la mia voce passasse tra fronda e fronda come quella del piccolo pennuto e lasciasse impigliati agli spini delle siepi i bei concetti inutili».

Avvertivo un nesso spirituale tra Gotta e Pascoli che l’aveva preceduto con la Cavallina storna, mentre il ricordo di Salvator Gotta e parte di quello legato alla mia infanzia stavano correndo su binari paralleli: Montalto, il suo paese natale, il castello dominante che dall’alto del monte Crovero si erge a baluardo dell’abitato e si staglia nel cielo dai colori più diversi magnificamente soffusi dalla vegetazione e dai laghi che lo circondano.

Simbolo misterioso ed affascinante, carico di energia, quasi una porta verso l’eternità. «È come il padre della nostra storia. E così lo sentono e lo ricordano anche coloro che, essendo nati sotto il suo sguardo, emigrano per ragioni di lavoro, in terre lontane: la nostalgia fa sì che, in certe ore, la sua sagoma medievale si profili persino contro i grattacieli di New York», scrive il Gotta, ormai in piena maturità, nel libro Il castello di Montalto, da cui si evince lo straordinario amore che provava per la sua terra e la sua gente.Con la voce del cuore rivivevo così la memoria del “grande uomo”, eccellente scrittore e letterato, al quale la vita aveva, talvolta a torto, lesinato pace e serenità.

Ora, a distanza di anni dalla sua dipartita, la sua anima sembra ancora duramente provata: una modesta targa commemorativa è infatti l’unico riconoscimento che i montaltesi gli hanno riservato. Non rimane altro che attendere lo studio voluto dall’amministrazione comunale per far rinascere giustamente la figura di Salvator Gotta.

Nel frattempo il nostro giornale pubblicherà a puntate un excursus letterario sulle opere, pietre miliari che ci guidano nella conoscenza reale del pensiero più intimo dello scrittore: il servizio sarà curato non a caso da una sua conterranea, la studiosa Luciana Banchelli, che sta svolgendo approfondite ricerche supportate anche dalle testimonianze viventi di coloro che l’hanno conosciuto.