TERREMOTO, QUALE COMUNICAZIONE?

Il giornalista è uno strumento chiamato ad essere luce di speranza

 Benedetta Grendene , 07.04.2017

ACQUASANTA TERME (AP) – Domenica 2 aprile i giornalisti dell’UCSI (Unione cattolica Stampa Italiana) si sono ritrovati ad Acquasanta Terme presso il monastero in località Valledacqua per riflettere, a sette mesi dal terribile sisma che ha colpito il Centro Italia, sul ruolo determinante che l’informazione ricopre in tempi di emergenza.

Sono contento che ci siano convegni su questo tema, per mantenere alta l’attenzione su un territorio che ancora sta piangendo e si appresta ad affrontare la fase delicata della ricostruzione. Sono certo che qui si tornerà meglio di prima”: le parole di benvenuto di Sante Stangoni, sindaco di Acquasanta Terme, sono cariche di ottimismo e speranza. Le scosse di terremoto infinito che hanno devastato le quattro regioni di Marche, Lazio, Abruzzo, Umbria hanno profondamente minato la sensibilità delle popolazioni ed è per questo che un’informazione attenta ed oculata non può prescindere dall’etica della professione di chi opera nel mondo della comunicazione.

Nel dibattito, moderato dal giornalista RAI Vincenzo Varagona, è intervenuto Dario Gattofoni presidente dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche che ha sottolineato come davanti ad una dramma di tal portata e di forte impatto mediatico, pur essendo chiamati ad operare sotto stress, è indispensabile mantenere un equilibrio e seguire un controllo e una verifica accurate delle fonti, filtrando i fatti per farli diventare notizia nel rispetto di chi ancora sta soffrendo. “Ho visto colleghi piangere”: toccante la testimonianza di Maurizio Di Schino segretario nazionale UCSI e inviato di TV2000 nelle zone terremotate di Amatrice, quando racconta la sua esperienza di giornalista chiamato a raccontare la realtà supportato dal sostegno di una fede laica nel mondo dell’informazione, che mai dimentichi l’orizzonte dell’umano.

É difficile trovare le parole giuste che ci permettano di entrare in empatia con chi vive momenti drammatici poiché la penna, i tasti di un computer, il tono della nostra voce, il nostro sguardo possono essere “ferro” o “piuma” per chi ci sta di fronte. Ogni persona è un gomitolo di storia e cercare di comunicare la sofferenza di chi vive il dramma del terremoto presuppone un atto di umiltà da parte nostra che ci induca ad ascoltare, a vedere, a creare una relazione, un rapporto di fiducia, un dialogo e a non essere “sciacalli”. Alterare la realtà con immagini ad effetto solo per alimentare quel falso sensazionalismo, che di umano non ha nulla, non è certo l’atteggiamento corretto da assumere: la realtà va rispettata e letta per quello che è, pur se atroce, e in molti casi è bene porsi in silenzio prima di parlare o di scrivere. Nei giornalisti è ancora possibile trovare una spalla su cui piangere, angeli pronti a condividere un dramma piuttosto che avvoltoi affamati di notizie. Il giornalista non è un mezzo ma uno strumento chiamato ad essere luce di speranza. Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace”: l’incipit della preghiera semplice di San Francesco d’Assisi e l’invito congiunto – che il Santo Padre ci fa – a praticare l’“apostolato dell’orecchio” possono essere un valido aiuto affinché il lavoro di noi giornalisti sia fautore di Bene e di Verità. Nelle zone colpite dal terremoto bisogna essere sempre pronti e la mancanza di elettricità può costringerci a tornare ad utilizzare i fedeli compagni di viaggio che mai potranno abbandonarci: penna e taccuino. Abituati ad avere computer e telefonino sempre con noi, abbiamo perso le vecchie abitudini che ci aiutano a rimanere radicati nella professione e ad essere artigiani veri, responsabili e costruttori di un messaggio di bene destinato a tutti.

Che risposta dare di fronte a chi amareggiato ci chiede: “La sorte mi ha tolto tutto, familiari, casa, lavoro, serenità … e adesso devo essere sorteggiato per avere una casetta? Non vi dimenticate di noi, non ci abbandonate”. Nelle aree di emergenza c’è sempre un “dopo”: a noi spetta il compito di essere strumenti capaci di mediare e mettere in comunicazione mondi in contrasto tra loro, riportando il cosmos (ordine) nel caos (disordine) come ha precisato Eddy Spezzati, psicologa e psicoterapeuta intervenuta al convegno.

Ha un piglio appassionato Titti Postiglione direttrice ufficio emergenze della Protezione Civile che vede nel confronto aperto sempre un’occasione per migliorare e agire per il bene comune della collettività. Le 48 ore successive al verificarsi di un fatto che pone il Paese in stato di allerta sono cruciali per mettere a punto la strategia migliore per fronteggiare l’accaduto. Ma in questa fase è estremamente difficile operare, dal momento che i dati che arrivano non sono certi e lo scenario è quanto mai instabile. Gli organi di informazione sono un alleato fondamentale così come lo sono gli 8.000 sindaci in Italia, prime autorità di protezione civile presenti sul territorio ed inserite nella comunità locale. Ascolto e fiducia sono due parole nodali alla base delle relazioni umane che mai andrebbero dimenticate quando si racconta un Paese in emergenza e si svolge dunque un servizio pubblico di informazione al cittadino. Occorre dare voce a chi non riesce ad essere ascoltato, denunciare certi disagi ma è necessario anche aiutare a dare risposte costruttive attivando una rete di informazione corretta che arrivi porta a porta, lì dove il bisogno è bisogno singolo. E il momento migliore per cercare risposte e parlare di prevenzione non è il tempo dell’emergenza ma il tempo della pace.

La mattinata si è conclusa con la Santa Messa celebrata da Mons. Giovanni D’Ercole vescovo di Ascoli Piceno presso l’antica abbazia dei monaci benedettini di Farfa, adiacente il monastero. Nel pomeriggio i giornalisti sono stati accompagnati dai Vigili del Fuoco e dall’ingegnere strutturista Roberto Gregori di Ascoli Piceno in una visita nelle zone rosse di Pescara del Tronto e Capodacqua, piccole frazioni del comune di Arquata del Tronto. Difficile trattenere le lacrime: qui tutto tace di fronte a cumuli di macerie e distruzione. Il silenzio è rotto solo dal rumore dell’acqua del fiume Tronto, dal fragore delle ruspe che nonostante sia domenica continuano a lavorare per cercare di mettere in salvo la Chiesa della Madonna del Sole, un piccolo tempietto a pianta ottagonale realizzato nel 1528 per desiderio dei suoi abitanti. In questa valle rigogliosa dove la fede popolare era salda e incrollabile, dopo il gelo, la neve e le piogge dell’inverno, i peschi tornano a fiorire e i due grossi cani del pastore del borgo che ogni giorno torna a dar da mangiare ai suoi animali iniziano ad abbaiare e a fare festa all’arrivo di noi giornalisti: sono i primi segni di una rinascita, perché la vita ancora c’è.

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