“AVRÓ CURA DI TE”, ROMANZO EPISTOLARE A DUE MANI

Scritto da Massimo Gramellini e Chiara Gamberale, presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino con la voce narrante di Elisa Gambetta

FLORIANA BENEGIAMO, 22.05.2015                     FOTOGALLERY

TORINO – Ogni libro nasce da un embrione, un’idea, una scaletta. Spesso può creare una storia nuova, inventata, altre volte può portare a ricostruire quella che è la vita, fatta di incontri tra persone, di dolore e di amore, di sensazioni. E l’idea di scrivere un romanzo che parlasse di pensieri e di sentimenti è venuta allo scrittore e giornalista Massimo Gramellini autore con Chiara Gamberale di “Avrò cura di te”.

Dall’incontro di questi due scrittori molto diversi tra di loro, entrambi però uniti dall’amore per la scrittura e per la fantasia come chiave di accesso per la realtà, nasce  Gioconda, detta Giò, una mamma di trentacinque anni con una storia familiare difficile alle spalle.  È un’anima inquieta che abbandonata dal marito Leonardo si sente smarrita. Decide allora di rifugiarsi nella casa dei nonni da poco scomparsi, e per ritrovare sé stessa, come se fosse una bambina,  si rivolge al suo angelo custode. Inizia così, attraverso un meccanismo di scrittura automatica, uno scambio epistolare tra Giò, in cui la Gamberale è riuscita ad immedesimarsi a pieno, e il suo angelo Filemone, nascosto dietro la penna di Gramellini.

Tra le pagine di questo romanzo è facile ritrovarsi nei pensieri di Giò, donna rivoluzionaria sin da quando era piccola ma che presto si ritroverà vittima di quella stessa rivoluzione scatenata contro la sua compagnia ai tempi della scuola, o contro quei modi di fare antipatici del marito. Scriverà così in una delle sue lettere: “Il dono più grande che potresti fare agli altri è comprendere come sono anziché volerli cambiare, assediando le loro sicurezze per cambiarli a propria immagine e somiglianza. Dove le rivoluzioni smettono di essere un atto di amore e diventano attentato all’identità degli altri?”.  Da qui nasce uno dei temi presenti nel libro, che ci racconta del problema dell’accettazione, dell’incapacità che si ha di accettare la realtà così com’è.Il valore della vita risponderà Filemone “risiede nello sforzo di equilibrio che compiamo ogni giorno per dare un senso al tutto. Non è facile accettare che quanto ci accade abbia sempre un significato, anche quando non riusciamo a scorgerne alcuno, e che le sconfitte dipendano sempre da noi, mentre sarebbe più comodo darne la colpa ai maneggi del prossimo e del destino. Invece è così, è tutto giusto e perfetto”.

E poi sono tante le immagini che colorano una pagina e l’altra, e che non riuscirebbero a lasciare indifferente neanche il più impassibile dei lettori. La Gamberale fa riferimento a una “strana luce” presente nel libro, che è la voce dell’antennista: “In questo mondo siamo tutti iperconnessi con qualcosa che è fuori di noi per non stare in connessione con il vuoto che spesso abbiamo dentro, con la paura che abbiamo di rimanere soli. Se fossi stata una bambina oggi, non avrei avuto quei lunghi pomeriggi senza fare niente passati ad ascoltare, a osservare il mondo, con la sua luce, i suoi fiori”. È quella capacità di vivere, esserci e sentire che Giò cercherà di recuperare con l’aiuto di Filemone nel libro, e che lo stesso scrittore confessa di aver staccato da lui per tanto tempo: “So cosa significa aver paura di amare, di correre il rischio di rivivere un dolore già provato, scegliendo così di rinunciare a tutto ciò, semplicemente non sentendo più.” racconta Gramellini finendo per citare uno dei suoi teologi preferiti Carl Gustav Jung: Non siamo venuti al mondo per essere perfetti, ma per essere completi. E la completezza prevede anche la parte brutta, sporca della vita, siamo cresciuti storti, abbiamo avuto una sofferenza, dobbiamo accettare questa cosa e vivere lo stesso anche se costa fatica. Ci accorgeremo che con tutto il nostro essere doloranti, brutti, rifiutati, delusi, traditi non importerà, se accettiamo questa sfida siamo vivi.”

Questo viaggio che parte dall’accettazione del problema, condurrà poi Giò a riflettere anche su quella che è stata a lungo la sua ossessione, il marito Leonardo, in cui si è rifugiata a lungo perché come racconta la Gamberale “Spesso è  più facile scegliere un’ossessione che stare a contatto con la vita, perché la vita è troppe cose, la vita è complicata”. Filemone, racconterà a Giò anche dell’esistenza di tre categorie di anime, parlerà di anime affini, complementari e prescelte che la donna finirà per ritrovare nella figura dei suoi nonni, due anime che come scrive il suo angelo “si sono scelte prima di venire al mondo, generando il massimo dell’energia possibile, positiva e negativa, comunque talmente forte che cavalcarla è un’impresa, resiste solo chi riesce a non identificarsi nel dolore che l’altra le provoca.”

Sarà difficile non incontrare un pezzetto di Giò in ognuno di noi, leggendo questo libro. Gramellini finisce il suo intervento citando una frase che Re Artù disse ai suoi cavalieri: “Siamo stati costretti ad andare in giro per il mondo alla ricerca di avventure, perché non eravamo più capaci di viverle nei nostri cuori” una frase potentissima, come ribadisce lo scrittore: i veri eroi sono quelli che riescono a vivere un’avventura nel proprio cuore, vivere l’amore in maniera seria, sincera è già di per sé un atto eroico”.  L’esistenza si riesce a cogliere davvero quando dentro di noi si fa silenzio, e in quella pace siamo in grado di uscire dal nostro isolamento mentale, dalla nostra fantasia, dalle nostre convinzioni, per vedere la realtà, così com’è. E poi vivere nel mondo, amare e soprattutto amarsi, perchè se nel frattempo ci si dovesse perdere basterà solo volersi poi ritrovare, ogni volta rinati, proprio com’è successo alla nostra Giò.

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Fotogallery di Carlo Cretella

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