“ERANO I GIORNI DELLE FIONDE” di AGATINO SPAMPINATO

L’amaro sapore della vita visto attraverso i dolci occhi del ricordo e della speranza

MARTINA PRAZ, 13.11.2014

TORINO“Erano i giorni delle fionde” è il libro di Agatino Spampinato, pubblicato  nel 2010 da Collana EditoriNproprio, ambientato in una Catania degli anni ’50, in cui fanno ancora eco la miseria, il timore e l’incertezza sul futuro, inevitabili conseguenze del secondo conflitto mondiale appena concluso.

L’autore, nato e cresciuto a Catania, va al di là del semplice ruolo di scrittore e veste per l’occasione anche i panni del protagonista; così dà vita ad una serie di racconti autobiografici riferiti alla sua fanciullezza vissuta proprio nelle periferie della sua città natale, così povera e fragile. Una raccolta di ricordi, dunque, che sembrano riaffiorare continuamente dalla memoria di Spampinato in modo quasi proustiano; basta infatti un semplice odore, un colore o un oggetto apparentemente insignificante a evocare una carrellata di intense reminiscenze che sembrano prendere vita dal nulla.

È facile immaginarsi, mentre si è immersi nella lettura, quell’Agatino bambino che, con quella innocenza e quella spontaneità tipiche dell’infanzia, si appresta ad affrontare le grandi sfide che la vita gli pone davanti ogni giorno e ad assaporare quel gusto amaro che essa lascia in bocca quando tutto non va come vorremmo. Si sente proprio così, amareggiato e senza obbiettivi, il nostro giovane protagonista, quando, a soli otto anni è costretto a nascondersi per salvarsi dai bombardamenti, o nel momento in cui perde il fratello Giuseppe, o nell’istante in cui vive le sue prime sfortunate esperienze sentimentali, o ancora quando perde il suo cane, travolto da un autobus, per lui caro amico ma soprattutto valido confidente in quel mondo dove i grandi non sembrano capirlo.

In questo faccia a faccia con la vita, a differenza di come potrebbe sembrare, il protagonista non è destinato a ricoprire solo il ruolo del “perdente”. Anzi, riesce ad avere la meglio, grazie al sostegno della madre, su una grave malattia, che viene solo accennata in qualche pagina, come se non volesse riportare alla luce quel triste periodo. Malgrado ciò, questo episodio sembra rappresentare una fioca luce di speranza che si accende in mezzo a questo mare di ricordi che affiorano, uno dopo l’altro, nella memoria di Spampinato.

Lasciano con il fiato sospeso le ultime pagine del libro, in cui l’autore siciliano sembra tornare in sé abbandonando il suo spirito di bambino per fare una sorta di resoconto del suo vissuto. Insoddisfatto, con grande amarezza ammette di aver vissuto come se potesse avere una seconda chance, una nuova vita da gestire meglio della prima. Ed è proprio leggendo l’epigrafe mortuaria di un suo caro amico d’infanzia che questa sua ipotesi si frantuma, lasciando spazio alla più cruda delle verità, la morte, che purtroppo coglie sempre impreparati.

Avvincenti e ricchi di pathos sono i racconti delle lontane reminiscenze che diventano via via più nitide nella mente dell’autore siciliano, fino a impossessarsi della sua stessa penna. Così il suo libro diventa un percorso di vita, che conduce il lettore ad una profonda riflessione interiore.  Si passa dall’ingenuità e innocenza del bambino alla consapevolezza ed alla rassegnazione dell’uomo pronto a dare voce ai suoi ricordi affinché non cadano nel dimenticatoio.