JAFAR PANAHI: PER I PROSSIMI VENT’ANNI SONO COSTRETTO A STARE IN SILENZIO
Serata di mobilitazione a Torino per la liberazione di Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof

KRIZIA RIBOTTA – 11.03.2011

TORINO – In questi ultimi giorni il mondo dei cinema internazionale si è stretto intorno a Jafar Panahi, il regista iraniano che, secondo il suo regime, avrebbe partecipato ad organizzazioni illegali «a scopo di sovvertire lo Stato» e svolto «attività di propaganda lesive dell’immagine della Repubblica Islamica». Per questo è stato condannato in patria a 6 anni di carcere e al divieto per 20 anni di scrivere e girare film, di viaggi all’estero e di contatti con la stampa.
Al Cinema Massimo per liberazione di Jafar Panahi: Ahmed Rafat, Pietro Mercenaro, Alberto Barbera e Hamid Ziarati

Trovando questa condanna ingiusta, il 28 febbraio, a Roma, Cinecittà Luce e Articolo 21, in collaborazione con  «Le giornate degli Autori», «100 Autori», «Anac», «Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani» e tutto il mondo del cinema, hanno voluto far sentire la loro voce unanime a sostegno di Panahi.

Anche il Museo del Cinema di Torino, una delle più importanti istituzioni di cinema in Italia, ha voluto dare il suo contributo, organizzando per la serata del 1 marzo, presso il Cinema Massimo, un incontro con esponenti del mondo del cinema, intellettuali e rappresentanti del mondo dell’arte e della cultura per riflettere su quanto sta accadendo e per contribuire alla mobilitazione internazionale che si batte anche per la liberazione di un altro regista iraniano, Mohammad Rasoulof.

Ad aprire il commovente dibattito che ha preceduto la proiezione dell’ultimo film di Panahi, Offside (2006) – da oggi nelle sale cinematografiche – è stato Alberto Barbera, direttore del Museo nazionale del Cinema, che ha letto la lettera inviata dal regista, ora agli arresti domiciliari, al Festival di Berlino. Parole semplici e colme di dignità umana e di poesia, con le quali Panahi dichiara: «Mi hanno privato di poter vedere il mondo per 20 anni, ma io non voglio negare a me stesso di poter sognare che tra 20 anni tutti i problemi saranno risolti e io potrò realizzare un film sulla pace e sulla prosperità del mio Paese» e, concludendo la lettera, si rivolge ai colleghi: «Mi auguro che i cineasti di tutto il mondo possano creare dei grandi film nel tempo che io sarò in prigione. Per me saranno l’ispirazione per continuare a vivere nel mondo che loro hanno sognato nei loro film».

Il giornalista di origine iraniana Ahmad Rafat, con un richiamo alla sensibilità artistica di Panahi, ha ricordato la carriera artistica del regista, i premi vinti, tra cui il Pardo d’oro con «Lo specchio» e il «Leone d’oro» e il «Premio FIPRESCI» con Il cerchio, e le sedie vuote ai Festival di Berlino e Cannes, facendo appello affinché continuino le mobilitazioni, nella speranza di una possibile revisione dei capi d’accusa e di conseguenza un ridimensionamento, se non un annullamento, della pena. Ha inoltre illustrato il difficile cammino che deve intraprendere un regista per ottenere gli innumerevoli permessi per poter girare un film in Iran, giustificando così la scelta di molti registi di girare all’estero (negli ultimi due anni 23 film iraniani sono stati girati in Iraq).

Nel suo breve intervento, il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, ha illustrato la disperata situazione socio-politica dell’Iran, paese in cui c’è miopia e cecità, in cui è stata istituita la Giornata dell’Odio, un giorno durante il quale è stata chiesta pubblicamente l’impiccagione per i leader dell’opposizione.

Ha chiuso la serata Hamid Ziarati, giornalista e scrittore iraniano amico di Panahi, che ha portato un saluto e un ringraziamento da parte del regista, sentito telefonicamente qualche giorno prima. Ha ribadito l’importanza delle manifestazioni internazionali e delle petizioni in favore alla liberazione del regista: grazie al forte coinvolgimento da parte di tutto il mondo, la Corte d’Appello, a oltre due mesi dalla sentenza, non ha ancora contattato Panahi, per ora agli arresti domiciliari. Sembra che sia stata intrapresa la giusta strada da percorrere per far sentire in imbarazzo il governo iraniano per aver sottomesso il regista alla realtà del carcere. Ma Panahi è fiducioso, come si legge nella sua lettera: «Io cercherò l’espressione dei miei sogni nei film altrui, sperando di trovare in essi ciò che il governo mi ha tolto».

Per aderire alla mobilitazione a favore di Panahi e Rasoulof firmare la petizione sul sito del Museo del Cinema: http://www.museocinema.it/closeup.php?id=176 e sulla pagina Facebook del Museo http://www.facebook.com/home.php#!/event.php?eid=137196166345863

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