IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI

La vigna, la vite, l’uva, il vino sono realtà-figure radicate nella cultura mediterranea da millenni. La Bibbia propone queste immagini per raccontare la cura che Dio ha per gli uomini e la possibilità degli uomini di vivere nel ben-essere.

Il testo letto, Gv. 15, 1-8, va compreso in quella tradizione profetica che presenta Israele come la “vigna di Jhwh”. Nel racconto di Gesù ai suoi discepoli: “Io sono la vite e il Padre mio l’agricoltore … voi i tralci …”, una delle dichiarazioni più forti e incisive è: “Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me, viene gettato via e secca …” Rimanere in Lui o non rimanere è questione di vita o di morte.

Rimanere in Gesù Cristo per noi tutti, uomini di ieri e di oggi, è “abitare” la sua Parola e i segni della sua presenza. Questo quotidiano abitare configura, secondo l’evangelo, la nostra realtà di uomini e donne nella storia.

Configura anzitutto il nostro “esser-ci” nel tempo e nel luogo del nostro vivere: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sono con loro”. Il nostro abitare è uno “stare con”, è un “noi”. Le scelte individualistiche di chiusura in se stessi, staccano il tralcio dalla vite. Questo abitare nella Parola è un venire alimentati, giorno per giorno, dall’azione creatrice permanente di quel Dio che ama noi tutti fratelli in Cristo.

Ognuno si fa uomo e si fa donna, cioè si realizza, attivando a suo modo la creatività, il progetto e l’opera: “Chi rimane in me porta molto frutto”. Creati perennemente come dono a se stessi, “ci si fa” creando doni di vita e dono di sé. Il vertice del “portare frutto”, rimanendo in lui, è, di certo, quell’appartenersi uomo e donna, generatore di figli e, su scala derivata, ogni gesto di amore che genera vita. Per dire con maggior chiarezza la possibilità di realizzazione di noi stessi e il possibile cammino di sviluppo e crescita personale, si potrebbe affermare: io sono creato come un dono nella vicenda evolutiva nel mondo, con la mediazione dei genitori che mi hanno amato prima che nascessi e pertanto mi realizzo creando doni.

Gesù la sera della sua Pasqua, nella prima apparizione ai discepoli, comunica questo “rimanere e abitare nella sua parola”, dicendo loro: “Vi do la mia pace, vi do il mio shalom”. Lo shalom-dono evoca e qualifica il nostro vivere umano come un vivere l’armonia di doni diversi. Le persone, gli eventi che ci stanno accanto, tutto e tutti custodiscono un dono da mettere in comune. Il tralcio unito alla vite, cresce accogliendo e costruendo in sintesi armonica i piccoli beni ricevuti. Sterile è colui che non li scorge e li trascura, nell’illusione di bastare a se stesso.

La disponibilità ad accogliere beni differenti e vitali è una ricchezza. Il piccolo bene che individuiamo quotidianamente è come l’ascolto di una nota musicale diversa da quella successiva: tutte vanno composte e disposte su un rigo, con intervalli riconosciuti, perché formino un accordo armonico.

Oggi, ancor più di ieri, la nostra cultura del vivere è un possibile convivere libero, responsabile e pacifico solo come composizione di differenze che arricchiscono. Perché questo avvenga, occorre condividere emozioni: gioire con chi gioisce, patire con chi soffre, condividere desideri, alimentare speranze, apprezzare  e mettere insieme carismi diversi.

Vivere nella fede e nella pace è un atto di coraggio, passione e volontà di fare.

don Renzo

Ivrea, 29 aprile 2018