COSA SIGNIFICA AUGURARE BUONA PASQUA!

Don Renzo Gamerro, diocesi di Ivrea

Fare Pasqua è un detto che ho imparato fin da bambino nella mia famiglia a Barone, dove, allora negli anni ’30 – ’40, tutti lavoravano i campi e uno sparuto numero di fortunati già lavorava all’ Olivetti. Erano tempi duri, tempi di fatica e di povertà e poi, dopo il ’40, anni di guerra.

Fare Pasqua significava fare le pulizie di Pasqua nella casa, nella stalla, nel cortile: mettere tutto a nuovo. Poi partecipare alle liturgie della Settimana Santa, lavare gli occhi al suono delle campane il Sabato Santo, celebrare la Messa Pasquale e rimettersi in cammino in compagnia del Risorto con rinnovata fiducia e speranza: un progetto di vita rinnovato nella serena certezza che i giorni a venire custodissero la promessa di un bene. Si soffriva insieme noi tutti del paese, si lavorava insieme, si sperava insieme. Fare Pasqua significava e significa una vita rinnovata insieme, sotto il segno della benedizione di un Dio che vive e opera con noi.

É ancora possibile fare Pasqua oggi, nel 2016, quando eventi di terrore fanno della morte un progetto e un programma per cambiare la nostra storia? É mai possibile fare Pasqua quando ragazzi – giovani vite – cresciuti nelle nostre città, in casa nostra, trovano nella violenza e nel terrore un senso da dare alle loro esistenze perdute? Come ci si può difendere, come si può combattere e contrastare questa cultura della morte che genera sgomento e paura? Come si può cambiarla quando si costruiscono barriere di filo spinato e si interrompe il cammino della speranza di milioni di rifugiati, bambini compresi, obbligandoli a sostare e vivere nel fango, minacciando di respingerli nei luoghi della guerra e della miseria?

Da ormai 2000 anni, i cristiani tutti, cattolici, ortodossi e protestanti, fanno della Pasqua un incontro con il Risorto e celebrano la vita che ha vinto la morte, come un giorno lontano capitò a due viandanti sfiduciati e tristi, diretti a Emmaus che, camminando con lo Sconosciuto sentirono ardere il cuore. Con loro camminava e tutt’oggi cammina, la Vita che vince la morte. La Pasqua è questione di cuore e di affetti, prima ancora che di riconoscimenti e di decisioni. Può anche oggi il Compagno di viaggio che non si è ancora stancato di camminare con noi, far ardere il cuore e ricostruire con noi incontri, fraternità, propositi di convivialità cioè di vita operosa insieme, tale che allontani paure e distrugga progetti di morte, di esclusione, di rifiuto, di scarto? Certamente si, perché quel Risorto tuttora opera, in mezzo a noi, risurrezione e vita.

É però in gioco la nostra libertà, la nostra responsabilità, il nostro progetto di vita. Quel Risorto, o risorge e genera con noi vita perché liberamente accolto, altrimenti la sua compagnia è inefficace. Almeno per noi cristiani è messa in gioco la nostra identità: siamo cristiani di Cristo e in Cristo o, se no, di chi e con chi?

Se fare Pasqua è vivere l’incontro con Lui, questo misterioso miracolo che fa ardere il cuore, ci richiama a quell’insieme che, nel mio paese 70 anni fa, era coscienza comune. Il nostro cuore arde solo se facciamo insieme. La paura è sterilizzata dal coraggio solo nel “noi” e, per i credenti, nel “noi di Cristo e con Cristo”.

Se il nostro cuore più non arde forse abbiamo eretto barriere che isolano ogni comunicazione di bene. Le barriere alimentano propositi di rivincita e di violenza. Esse non proteggono perché “i muri non fermano gli scorpioni: offrono loro riparo e condizioni ideali per allevare nidiate” (M. Tarquinio).

Perché il nostro cuore possa ardere e sperimentare incontri occorre abbattere la sterile nostalgia del passato, non la memoria; l’immobilismo del presente; la falsa saggezza condensata nel ripetuto slogan “ognuno pensi a se stesso”. Occorre uscire dall’egemonia dell’io e allargare lo spazio nella nostra coscienza. Occorre saper accogliere Cristo negli altri considerati tutti fratelli.

I tanti che hanno portato lumini e fiori sulla piazza della Borsa a Bruxelles e si sono fermati a pensare e pregare, non volevano sentirsi soli e volevano camminare insieme in un mondo in cui non occorra sospettare di tutto e di tutti. Così hanno combattuto la paura.

Fare Pasqua vuol dire ricordarsi di essere cittadini del mondo, come le studentesse del progetto Erasmus; ricordare di essere persone che non perdono la testa, responsabili e fraternamente legate a tutti. Persone che insieme guardano lontano.

Il Risorto vive in chi vive di speranza e di coraggioso proposito vincendo le paure, in chi vive una vita abitata dall’amore.

Sì, possiamo fare Pasqua e rinnovare l’incontro se viviamo insieme l’amore e la speranza, perché «l’amore e la speranza – per dirla con P. Mazzolari – vedono la spiga quando gli occhi di carne vedono solo il seme che marcisce e muore».